lunedì 4 febbraio 2013

La Traviata

La Traviata è l'opera lirica più rappresentata al mondo. Una ragione ci deve pur essere, e probabilmente non bastano le sue celebri arie per giustificarne completamente il successo. Io credo che Traviata sia, in fondo, un punto di arrivo per molti aspetti teatrali, musicali e psicologici.

Innanzitutto, l'Opera. Il teatro dell'Opera è teatro con musica. All'inizio, dalla nascita con Monteverdi si trattava di teatro "accompagnato" dalla musica, il recitarcantando. La musica sottolineava l'azione teatrale, ne era in un certo modo dipendente. Nel settecento, con l'avvento del teatro che io chiamo borghese, ossia quello destinato all'imprenditorialità e non alla corte regale, la musica diventa l'elemento trainante, e la necessità di attrarre il pubblico porta allo sviluppo delle arie, sempre più complesse e melodiche, fino a che l'aspetto teatrale non diviene altro che la giustificazione per collegare le parti cantate. I recitativi, da svolgere in fretta, reggono lo svolgersi della storia, che sull'aria si siede, e dedica tempo ed energia per spiegarsi in un canto che poi può decretare il successo o l'insuccesso della messa in scena.
Comunque, l'Opera è innanzi tutto teatro, è una storia da raccontare. Traviata è una storia, una storia borghese, frutto dell'immaginazione di Dumas, che scrive la Dame aux Camelias, dramma in perfetto tono ottocentesco francese. Una storia potente, tant'è che viene presa come trama da più Opere, e anche oggi è stata utilizzata nella sua impalcatura, ad esempio dal film musicale Moulin Rouge (peraltro molto bello). Quindi, storia ottocentesca che è capace di parlare anche ai nostri tempi.

La musica. Verdi, a mio avviso, non è un musicista sublime. Abbastanza povero di idee musicali, alquanto ripetitivo nella stesura, aveva tuttavia una capacità credo unica: quella di saper "leggere" il libretto teatrale e "viverlo", non accompagnarlo né sovrastarlo, con la musica. Tutti i musicisti d'Opera hanno seguito percorsi analoghi, ovviamente, ma credo che Verdi avesse una capacità unica di fare osmosi fra musica e testo, con capacità sorprendente di sinergia fra i due. E' noto che, nella scrittura dell'Opera, Verdi richiedesse continue modifiche al libretto, proprio per seguire questo suo percorso creativo, per dare sensazione al testo e struttura alla musica.

La psicologia: il testo di Dumas era una storia coinvolgente, l'abbiamo già detto, ma una storia "altra", ossia, la storia dei personaggi. Verdi, con il librettista Piave, ha saputo rubare l'anima dei personaggi, e renderla un tutt'uno con quella di chi ascolta. Non è più una storia rappresentata, ma è la storia delle emozioni, dei dubbi, delle incertezze, delle incongruenze dell'animo e della passione umana, trasposta in teatro ed in musica.

La storia è presto detta: Violetta è una cortigiana (oggi sarebbe una frequentatrice di cene eleganti, insomma). Una donna che da un lato deve il suo successo alla mancanza di passione vera nella sua vita, dall'altra una donna che ha paura di queste passioni, ha paura della fragilità che porta l'amore, che ha paura ad abbandonarsi ad una gioia che le potrebbe essere negata. Alfredo è l'uomo che la desidera, un uomo innamorato, che la vuole conquistare. Teatralmente rappresenta l'evento amoroso. Attorno ai due personaggi brulica la vita: la società, con i suoi pettegolezzi e le sue regole e il denaro, il terzo personaggio dell'opera. Fra questi personaggi emerge Germont, il padre di Alfredo, che rappresenta l'ingerenza degli obblighi, della società, delle regole di vita, in una parola gli ostacoli dell'esistenza. Ecco fatto, il piatto è servito: dietro al dramma tutto trine e velluti dell'alta società, ci si ritrova nelle pulsioni eterne, nelle paure, nei lacci e negli ostacoli dell'esperienza di ognuno.
Lo sviluppo della storia, a questo punto, è solo funzionale ad una rappresentazione teatrale. L'identificazione fra il pubblico ed i personaggi è così forte che la storia diventa solo un elemento decorativo.

L'opera non fa a tempo a cominciare, che Verdi ci butta direttamente nella vita. Una cena, i pettegolezzi che corrono, gli sguardi e le mezze frasi fan da contorno al coro del brindisi, primo momento lirico dell'opera. Non a caso: è dalla società che escono tutti i vincoli e gli ostacoli, e le opportunità. Nella società Alfredo riesce finalmente a contattare Violetta (malata, ma questo serve per poter dare una chiusa tragica all'opera, come si addice all'Opera musicale italiana). Violetta vive un'emozione forte, diremmo un innamoramento, e Verdi le fa esprimere tutti i dubbi che ognuno di noi conosce. Nell'aria "Sempre libera" Verdi raggiunge uno dei punti più alti di sintesi teatrale musicale. Un canto lontano (il subconscio di Violetta) canta la canzone dell'amore, "Di quell'amor ch'è palpito". Lasciarsi andare, vivere il sentimento. Violetta ascolta, sembra scivolare, lasciarsi andare, ma poi la paura ha il sopravvento ("Follie!") e si libera nell'urlo del "Sempre libera", nel quale enuncia la sua decisione di non vivere un sentimento, ma di cogliere il bello da ogni fiore. Ma... malandrina si infila di lontano la voce di Alfredo che canta, lui pure, "di quell'amor ch'è palpito". Lo canta orgoglioso, felice, sereno, e Violetta sente l'animo dividersi.
Cambia la scena, e Violetta ed Alfredo vivono assieme, lontani da Parigi. Alfredo canta l'appagamento dell'uomo che ha trovato la donna della sua vita ("Dei miei bollenti spiriti"), ma il destino bussa alla porta. Germont, con la scusa che il futuro marito della sorella di Alfredo, saputo il suo legame con Violetta, rifiuta di sposarla per timore di imparentarsi con una donna chiacchierata, chiede a Violetta di lasciare Alfredo. Un po' con l'inganno, un po' con il convincimento, la convince.
A leggerla così, la storia è ridicola, ma il significato vero è che Violetta, e poi Alfredo, non sono capaci di prendere in mano il loro destino, le loro scelte, di affrontare le avversità, impersonificate da un Germont che spinge entrambi a piangere, e non a lottare per il loro amore.
Da li, tutto conduce al finale tragico, dove al capezzale di Violetta si riuniscono i personaggi dell'opera, con Germont che, convitato di pietra, firma il destino avverso di un amore che non ha saputo difendere se stesso.

Verdi riveste di colori potenti i vari passaggi psicologici. Nessun recitativo, solo quadri che assolvono anche il compito di far capire cosa è successo fra uno e l'altro. Musica che sottolinea efficacemente i differenti momenti dell'opera. Arie orecchiabili, com'era richiesto per il successo, e parti difficili e faticose (soprattutto per il soprano, costretto a cantare praticamente continuamente per l'intero primo e quarto atto. Ma soprattutto il maestro ha saputo estendere, con la musica, il significato dell'atto scenico, e scavarlo appieno a livello psicologico.
Come esempio, i dieci minuti continuativi del soprano alla fine del primo atto, la lotta fra l'abbandono al sentimento e la paura di questo.






È strano! è strano! in core
Scolpiti ho quegli accenti!
Sarìa per me sventura un serio amore?
Che risolvi, o turbata anima mia?
Null'uomo ancora t'accendeva O gioia
Ch'io non conobbi, essere amata amando!
E sdegnarla poss'io
Per l'aride follie del viver mio?
Ah, fors'è lui che l'anima
Solinga ne' tumulti
Godea sovente pingere
De' suoi colori occulti!
Lui che modesto e vigile
All'egre soglie ascese,
E nuova febbre accese,
Destandomi all'amor.
A quell'amor ch'è palpito
Dell'universo intero,
Misterioso, altero,
Croce e delizia al cor.
A me fanciulla, un candido
E trepido desire
Questi effigiò dolcissimo
Signor dell'avvenire,
Quando ne' cieli il raggio
Di sua beltà vedea,
E tutta me pascea
Di quel divino error.
Sentìa che amore è palpito
Dell'universo intero,
Misterioso, altero,
Croce e delizia al cor!
Resta concentrata un istante, poi dice
Follie! follie delirio vano è questo!
Povera donna, sola
Abbandonata in questo
Popoloso deserto
Che appellano Parigi,
Che spero or più?
Che far degg'io!
Gioire,
Di voluttà nei vortici perire.
Sempre libera degg'io
Folleggiar di gioia in gioia,
Vo' che scorra il viver mio
Pei sentieri del piacer,
Nasca il giorno, o il giorno muoia,
Sempre lieta ne' ritrovi
A diletti sempre nuovi
Dee volare il mio pensier.


13 commenti:

Bianca2007 ha detto...

Divina Maria!

BRAVO' MARZIO'!
Cestinò?...Me no! Me oui!
Ciaò,Biancà

verdeacqua ha detto...

quando scrivi di musica è sempre un piacere leggerti...

sed ha detto...

ma... non ti ha commosso neanche un po'?

Ilmondoatestaingiù ha detto...

@mirka: bravò di cosa? Brava la Callas, bravo Dumas, Piave, Verdi. Ma io? :)

@verdeacqua: lo so, lo so.... quando non scrivo di musica sono una palla! :D
Me lo dice sempre anche i. :D

@sed: chi mi conosce sa bene che con la traviata mi metto a lacrimare come un vitello... :)

sed ha detto...

meno male...

Anonimo ha detto...

per un cantante Verdi è il massimo. Certi non ci arrivano mai, nemmeno a fine carriera.

Ilmondoatestaingiù ha detto...

@camay: le difficoltà tecniche sono spesso ostiche. Ma bisogna anche aver presenza scenica, e non è per niente facile mentre ti arrampichi su passaggi killer....

Anonimo ha detto...
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Ilmondoatestaingiù ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Pellegrina ha detto...

@Pellona: quanto meno Callas bisogna ascoltarla. E' universale (detto da una che il XIX secolo lo abolirebbe proprio ;-) ).

Ilmondoatestaingiù ha detto...

@pellegrina, pellona: ma qui volete tutte cancellare dei secoli di musica? E perché, poi? Cancellare il XIX secolo, e a Genova come fanno senza giornale, eh? Vogliamo parlarne? :)

Pellegrina ha detto...

Massì, io lo cancellerei senza pena, vuol dire quello. Ma non lo farei per gli altri, ovvio! Però, un po' meno XIX e un po' più del resto, francamente, nei cartelloni e nei cataloghi discografici non mi dispiacerebbe.

Ilmondoatestaingiù ha detto...

@pellegrina: tutto deve andare nei cartelloni, la musica antica come la complessa musica contemporanea. Poi i gusti personali sono insindacabili.

Io non potrei fare a meno di Brahms, di Bach, e di quel genio assoluto di Stravinsky. Tre interpreti del loro tempo capaci di uscirne contemporaneamente fuori.