lunedì 23 dicembre 2013

I costi della politica

Su La Stampa del 17 Dicembre è comparso questo articolo che riassume e commenta uno studio fatto dalla UIL sui costi della politica. In un momento nel quale tutti parlano di casta, di soldi gettati e di soluzioni epocali che risolvono tutti i problemi italiani in una semplice mossa (e su questo raccolgono pure più del 20% dei favori dell'elettorato), questo studio molto asettico - magari da verificare, ma sicuramente qualcosa di più delle chiacchiere da bar sparate da comici veri o presunti tali - aiuta a mettere a fuoco meglio cosa significhi veramente costo della politica.

Scorrendo i numeri si scoprono stranezze, e crollano miti in negativo ed in positivo, ma soprattutto ci si rende conto di quanto siano cialtrone le affermazioni che quotidianamente passano sui blog, in tv, nelle discussioni dei soporiferi talk show che ammorbano la finta informazione.

Il "palazzo" per eccellenza, ossia le Camere, i ministeri, la presidenza della Repubblica, tutti insieme costano 3 miliardi di euro all'anno. In un anno il suo costo è calato del 4%, senza comportare significative riduzioni di funzionalità. I tanto famosi rimborsi elettorali valgono circa 100 milioni, più o meno quanto è stato possibile tagliare senza sforzo. La prima domanda che ci si pone è: ma quanto si può tagliare già solo in questo ambito?

Le regioni, tutte assieme, costano un miliardo all'anno. Le province mezzo. Tuttavia, mentre le regioni hanno degli importanti compiti da svolgere (se bene o male è un altro piano di discussione), le province sono sostanzialmente degli enti inutili (i loro compiti sono sostanzialmente stati sottratti alle regioni negli ambiti della protezione del territorio e dei trasporti, e ai comuni per quanto riguarda gli edifici scolastici). I comuni costano un altro miliardo e mezzo, sicché i costi del palazzo equivalgono grossomodo ai costi dell'intera politica locale.

Purtroppo, per il cittadino italiano, i costi non si arrestano qui. Nel sottobosco della politica proliferano una miriade di società partecipate, nei cui consigli di amministrazione vive una flotta enorme di persone che o sono politici a tutti gli effetti, o comunque vivono di politica. Quanti? La UIL stima che, a fronte di 144.000 politici eletti nei vari istituti di rappresentanza (comuni, province, regioni, parlamento) ci sia un mezzo milione di persone che viaggia fra CdA, collegi sindacali e dei revisori, apparato politico a supporto, più un ulteriore mezzo milione di consulenti vari. In questo sottobosco si perdono quasi 5 miliardi all'anno. Una parte di questa spesa è sacrosanta (le società pubbliche spesso hanno la loro ragione di esistere), ma scorrendo la lista si vede che moltissime di queste hanno come loro missione solo quella di creare degli stipendi. E qui si scoprono alcune meraviglie: il 40% di tutte le società partecipate afferiscono a solo due regioni. Curiosa questa cosa, no? Beh, queste due regioni non sono le solite regioni "del malaffare", come possono pensare molti. E non si tratta nemmeno della regione della Roma Ladrona. Le due regioni mangiatutto sono il Piemonte e la Lombardia, sostanzialmente a pari merito. Se aggiungiamo alla coppia il Veneto, abbiamo in queste tre regioni più della metà delle società partecipate. Ma la cosa più impressionante che delle 7000 società che afferiscono alla pubblica amministrazione, più del 90% dipende dalle regioni (un numero significativo di queste riguarda le società per la gestione della sanità pubblica, sulle quali ci sarebbe poi da entrare nel merito per le spese che le riguardano). Di queste società, sicuramente più del 7% sono inattive, ossia sono società che non hanno alcuno scopo (ma hanno CdA, collegi sindacali, ecc), più una miriade in liquidazione ma, curiosamente, ancora attive. Insomma, ci sono tutti gli indicatori per pensare che il grosso dello spreco della politica si annidi alla periferia, segnatamente nelle regioni e nelle province.

Aggiungendo ai costi sopra elencati quelli per il mantenimento di questo apparato, la UIL stima una spesa annua di 23 miliardi, l'1,5% del PIL. La domanda è: possibile che invece di inventarsi l'ennesima tassa non si possa intervenire su questa marea di sprechi?

martedì 3 dicembre 2013

Presto che è tardi

Hai presente una casa disabitata d'inverno? Una casa là, nella bassa, dove le stagioni alternano l'afa alle nebbie. Una di quelle case che vanno per i cento anni, con i muri pieni, spessi. Le case con i muri portanti, come non se ne fanno più, e i solai fatti con le travi di legno, elastici, che senti il pavimento che oscilla sotto i tuoi passi ma no, non temi che cada, è come saltare su di una rete elastica.
Ecco, una casa così. Ma non una qualsiasi: una che ha a che fare con la vita di quei due anziani lì davanti a te, che sembrano schiacciati sotto un peso. I volti tesi, i movimenti scoordinati di chi non sa cosa cercare, cosa fare. Lei che stacca foto, le raccoglie. Ti chiedi perché non l'ha fatto finora, in tutti questi anni, ma è una domanda retorica: non voleva che arrivasse questo momento. Lui che cammina spavaldo nel nevischio che cade, e va nel garage, e torna, e poi ritorna là, oscillando in un'ozioso e inconcludente andirivieni.

La casa ci tiene a mostrare che da dieci anni non ci abita nessuno: ragnatele ovunque, polvere sul tavolo dal cristallo scuro. Mobili che vedo da sempre, da quando sono nato. Improvvisamente un flash: questo arredamento è tornato nello stesso posto nel quale me lo ricordavo, quell'inverno del 65, quello triste dopo la morte della nonna, ed il ritorno di mio padre dal Perù. La stanza più in là era gelata, come oggi l'intera casa, e non si poteva andare. E questa stanza era popolata dai giochi portati da Gesù Bambino, ma l'espressione della mamma, con mia sorella in braccio, non era allegra.

Nell'altra stanza i segni di vita di mia zia: le sue cose, distribuite tutto attorno, nel suo ordine/disordine. Tutte ancora li, come dieci anni fa. I due anziani sembrano non sentire il freddo che scava dentro: hanno mille cose da non fare, per guadagnar tempo. Tempo per vagare in pace fra quelle stanze, tante come si conviene ad una casa di campagna, attraversata dal corridoio che, come vuole la regola, corre dalla porta d'ingresso alla porta sul retro.

Presto che è tardi. Come un bianconiglio stagionato cerco di scuoterli, di trascinarli via dalla sfasatura che stanno vivendo. Vendere la casa, quella casa. Portarsi via qualche ricordo, pezzi di vita trascorsa. Anch'io ho tanto lì dentro. Guardo la stanza dove sono nato, quella dove ho dormito il sonno invernale più corroborante, in un silenzio di cielo gelido stellato che ti faceva godere del caldo abbraccio delle coperte, con il sottofondo del russare del nonno (da qualcuno avrò ben preso...). Sotto il nevischio si va via. Ho dovuto promettere che il prossimo weekend ci si torna. Sarà l'ultima volta che metteremo piede in quella casa.