giovedì 12 novembre 2015

Cinque anni

Ognuno ha i propri percorsi, nella vita. Il proprio carattere, le proprie attitudini. C'è chi è impulsivo, chi agisce in un attimo. C'è chi, come me, ha bisogno di essere convinto, prima di fare una cosa. Una convinzione di testa, che purtroppo talvolta non coincide con le convinzioni emozionali.

In campo sentimentale devo essere, evidentemente, una frana. Curiosamente se ascolto le persone che mi conoscono, ma non hanno mai avuto un rapporto intimo con me, dicono tutte che sono da sposare (ora posso); se ascolto le donne con le quali c'è stato un rapporto d'amore dicono l'opposto. Ora, a meno che io non sia il dott. Jekyll, c'è qualcosa di strano. Si può spiegare la stranezza in tanti modi, che io sia molto meno interessante preso a grandi dosi (la versione di i.), oppure che io sia un bugiardo impenitente (la versione di b.), o che sia semplicemente tollerato fintanto che servo a soddisfare un bisogno (la versione di molte mie amiche). Qualunque sia la ragione, se cerco di capire come mi sono posto nei miei rapporti, comprendo sempre di meno. Non per merito, ma perché son fatto così, nel rapporto non mi risparmio: mi impegno, mi metto in dubbio, sono disponibile, credo di mettere sempre l'altro davanti a me stesso. Eppure, tutto questo sembra essere considerato nulla, anche quando mi si diceva "sai, non sono mai stata abituata a queste attenzioni, nessuno mi è mai venuto incontro quando stavo male". Comincio a credere che forse proprio qui stia il problema: considerare la mia disponibilità come un diritto, e non una scelta che si ripete ogni giorno. Quando questa disponibilità viene meno perché c'è un problema, perché non sono corrisposto, perché non la vedo apprezzata, allora si rompe il giocattolo. Ecco, forse proprio qui sta la ragione dell'affermazione di molte mie amiche, che sostengono che devo dire molti no.

In effetti, dire di no è il mio vero problema. Sono stato educato nel concetto che ad una richiesta si risponde di si, perché altrimenti si è egoisti. Ci è voluto molto per rendermi conto che spesso l'egoismo è invece di chi chiede, senza equilibrare le cose. Ho spesso fatto cose per prendermi carico dei problemi altrui, senza rendermi conto che questo veniva visto come mio dovere, e non come complicità. La complicità non è solo avere cose intime, conosciute solo all'interno del rapporto, ma è partecipare alla vita dell'altro, e comprenderne appieno il valore.

Probabilmente anch'io non ho sempre compreso in pieno il sapore della complicità. Non sempre ho capito il valore che la compagna attribuiva ai suoi gesti nei miei confronti. Non ho capito soprattutto cosa si aspettava da me, come non sono stato capace di far capire cosa aspettavo da lei, e soprattutto, cosa non aspettavo. Però credo sempre di aver saputo comprendere una cosa fondamentale: che siamo tutti delle persone che sbagliano, e io per primo. Anche quando fatti mi hanno procurato dolore, ho saputo capire e giustificare la donna con la quale condividevo l'Amore. Il mio limite è invece non reggere la mancanza d'armonia nella coppia: non sto parlando della litigata, ma della continua, incessante, martellante tensione. Se c'è un problema, le cose si risolvono insieme, il che vuol dire che, indipendentemente da chi abbia causato il problema, si cerca insieme di superarle, aiutandosi, e non pretendendo una rigida distribuzione dei compiti: amore ed equità si incontrano solo dopo un lungo percorso.

E questo mi danza nello specchio, al mattino, quando riconosco che sono cinque anni che vivo da solo, e che forse la vita ed il tempo mi hanno inaridito.