mercoledì 29 maggio 2013

Mattinata

Un po' il sole che è sbucato inaspettatamente dopo una mattina cominciata sotto un tappeto di nubi basse e grigie, un po' il post di Mirka che me l'ha fatto ricordare, e la piccola discussione che abbiamo avuto, mi è venuto voglia di scrivere le mie impressioni su varie interpretazioni di questo celeberrimo brano, troppo spesso maltrattato perché si pensa che basti la voce per potersi permettere di eseguirlo.

Già, eseguirlo. Una delle peculiarità della musica classica, anche se leggera come per questo brano, è che l'interpretazione è componente essenziale del brano stesso. La stessa melodia può essere diversa, assumere colori differenti, emozioni antitetiche, anche a causa dell'interpretazione. Molte volte mi è capitato di ascoltare (o di suonare!) lo stesso brano dallo stesso esecutore, e trarne sensazioni completamente diverse.

Mattinata la cantano un po' tutti: è il classico brano da bis da recital tenorile, due minuti e pochi secondi, richiede voce potente ma senza eccessive difficoltà in esecuzione, tanto che veniva e viene eseguita anche da cantanti di musica leggera (Claudio Villa, Al Bano, e altri). Eppure, come succede spesso, è proprio sui brani semplici che si notano le grandi differenze interpretative.

Cominciamo con Boccelli. Non metto qui la versione che postò Mirka, ma un'altra che reputo già meglio, di un recente concerto in Senato.



La prima cosa che si nota è l'incapacità di tenere il tempo, costringendo l'orchestra ad un continuo inseguimento dei rubati e degli allargando. Un'interpretazione comunque non male, fino all'imbarazzante acuto finale.

Ascoltiamo ora la versione di Pavarotti, un Pavarotti ancora giovane e lontano dallo star system nel quale si calò al culmine della sua magnifica carriera. Il solito timbro chiaro, pulito, ricco, inconfondibile. Già allora una certa tendenza a gigionare sui tempi, ma tutto sommato tenuta sotto controllo. Facilissimo per lui l'acuto finale, supportato da una potenza vocale rara. Ciò che manca, come spesso manca nelle interpretazioni di Pavarotti, è l'emozione, che è confinata in una voce dal timbro inimitabile, che da sola vale l'ascolto.




Non è così irriverente ascoltare Claudio Villa nello stesso brano. Ho notato che in tutte le registrazioni che ho trovato i tempi sono decisamente larghi, più di 30 secondi su di un brano da 2:15. Il tempo largo aiuta il canto, e permette di cesellare meglio l'interpretazione, che nel suo caso è molto curata. Sicuramente una bella interpretazione, molto orientata all'emozione (e a smussare le difficoltà canore).




Passiamo ad un'interpretazione più "antica": Mario Del Monaco, nel pieno della sua carriera. Interpretazione del suo tempo, anni 50, ma senza forzature stilistiche troppo evidenti. In compenso un'esecuzione orientata a sfruttare le mostruose capacità vocali di questo grandissimo, stranamente caduto in oblio, tenore.



E siccome è in oblio, voglio fare un'orizzontale, riportando una seconda interpretazione, degli anni 70 a giudicare dall'abbigliamento, quando Del Monaco aveva già passato i sessant'anni. Tempi molto più stretti, ma potenza ed interpretazione sempre freschi. Solo qualche ricordo manierista nella pronuncia, da vecchio tenore di buona scuola...



E questa ultima interpretazione, se ascoltata senza il filtro della ricerca stilistica, è naturalmente "giusta", logica, dinamica, completa. E' la Mattinata

sabato 18 maggio 2013

Se son rose, fioriranno

Raffaella mi chiede se è merito mio. Materialmente si, ma l'insegnamento viene da mia mamma, o forse solo la passione. Forse la verità è un poco più articolata: non ho digerito il fatto di essere tornato a vivere in appartamento. Gli antenati contadini devono aver lasciato traccia nei miei geni: ho bisogno di giardino. Ho bisogno fisico di veder le piante cacciare le foglie, i fiori sbocciare. Ho bisogno di vedere la bellezza della natura che si risveglia, e di aiutarla a fare sempre meglio.

L'autunno scorso ho potato le rose, corte, pochi centimetri sopra l'innesto. Non sapevo bene se fosse questo il metodo, ma ricordavo di aver visto fare così da giardinieri esperti. Ho concimato a dovere, e ho aspettato tutto il lungo inverno. Le giornate di poca luce, di freddo intenso. La tristezza del buio alle cinque del pomeriggio, e del sole che non si vede mai. Il periodo nel quale si ha tempo di chiedersi tante cose nella solitudine della sera, e non solo per quanto riguarda le rose.

Poi marzo. Timidi segnali. Gemme ricercate, aspettate, studiate. E aprile, e quelle gemme che diventano rami promettenti, che crescono, che dicono che tutto è andato bene, meglio di quanto ci si poteva aspettare. E i boccioli chiusi, che piano piano crescono, si espandono. Poco alla volta, con studiata lentezza. Li guardo, e mi chiedo se saranno fiori come mi aspetto, o se non sarà un'illusione. I giorni passano, e sembrano confermare che di fiori si parla, e belli.

E poi, fra venerdì e sabato, ecco...


venerdì 10 maggio 2013

Tignanello

La tavola è, nella nostra cultura, un luogo importante, di aggregazione. Un luogo sociale. Dai tempi dei greci a tavola si ragionava, ci si scambiavano idee, emozioni. Si ascoltava musica. Si gustavano parole. Si degustava il vino, si godeva del cibo.

E' la grande cultura mediterranea, quella componente che manca spesso in quella anglosassone, peraltro ricca di altri aspetti. Io però, almeno in questo aspetto, mi sento molto del sud. Per me è essenziale, in un rapporto personale, sia esso di lavoro, di amicizia, d'amore, sedersi insieme a tavola. La mia morosa dei diciott'anni (ma non solo lei...) sostiene che guardando mangiare un uomo sa come lui sarà a letto, e dice che non si sbaglia mai. Ne son sicuro.

Forse per questo mi piace cucinare - sul risultato poi non garantisco, ho le mie preferenze che non sempre si sposano con quelle altrui. E mi piace bere bene, che non vuol dire sbracare, ma gustare vino ottimo, e goderne appieno. Poi ho bottiglie che amo particolarmente, che magari ho scoperto per caso e che poi sono diventate ricordi.

Di una ne ho parlato un anno fa, qui. Mi è piaciuto berla ancora pochi giorni fa, accompagnata da un filetto al pepe verde. Un cibo forte, aggressivo, che sicuramente copre un po' i sapori del vino, ma quel vino sa esserci, sa avvolgere, sa vivere, anche senza il cibo. Un vino perfetto, per chi sa capire il suo linguaggio.