lunedì 29 aprile 2013

Di qua e di la dell'Atlantico

Una telefonata, alle otto di sera del 25 Aprile. Un amico, uno di quelli trovati per caso, sulla strada del lavoro. Avevo poco più di trent'anni, e lui due mesi più di me. Era mio cliente allora. Facemmo un progetto insieme. Ci piacemmo. Lui perennemente sopra le righe, che parlava di cose apparentemente intelligentissime, opportunamente sfocate, e io che dopo averlo ascoltato un po' lo riportavo per terra dando concretezza alle sue fantasticherie.
Poi, da un giorno con l'altro, gli proposero una buonuscita sontuosa purché rassegnasse le dimissioni. Mi chiamò, ne parlammo, poi prese i soldi. Fece il consulente in un paio di aziende, ci sentivamo abbastanza spesso. Un giorno - ricordo, era poco prima di Natale - mi chiamò. Io pensavo fosse per gli auguri, invece mi disse che era in lizza per un posto di grande prestigio, in un'azienda conosciuta ovunque. Era in palla, carico. Voleva quel posto. Pochi giorni dopo mi chiamò un cacciatore di teste per un colloquio. Ci andai, non si rifiuta mai un colloquio, anche se io mi trovavo benissimo dove stavo allora - non sapevo cosa mi sarebbe aspettato dopo qualche anno. Il cacciatore mi descrisse la posizione, e dopo poche parole capii che si trattava dello stesso lavoro che interessava ad Antonio. Appena uscito lo chiamai, e lo misi al corrente. Dopo qualche settimana rimanemmo io e lui, e sembrava che volessero me. Fu a quel punto che lasciai la corsa, e fu assunto lui.

Dopo diversi anni, non avendo raggiunto la posizione apicale che gli interessava, lasciò la famosissima azienda per fare il consulente in proprio. Ci sentivamo regolarmente, sapevo che quel lavoro gli andava stretto. Qualche mese fa mi fece sapere che era entrato in una famosa società di consulenza, responsabile mondiale del business con un famoso marchio automobilistico. Un'altra grande posizione, di sicuro legata a quel posto per il quale ci eravamo trovati in corsa assieme.

Dunque, l'altra sera mi chiama. Lo conosco bene, so che ogni scelta è un messaggio. Se mi telefona ad un'ora inconsueta, in un giorno inconsueto per parlarmi di lavoro, devo capire bene. Mi racconta che stanno cercando un profilo particolare, e mi chiede se conosco qualcuno. Gli chiedo di descrivere, e lui sta sul vago. Gli chiedo dettagli sull'inquadramento, budget, e lui continua a non dar risposte. Poi mi dice: ti mando il profilo, vedi tu, mi fai sapere. Dopo un giorno mi manda la mail, guardo la descrizione. E' un po' sgarrupata, riconosco la sua mano, grandi panorami con dettagli micrometrici mischiati assieme. Di sicuro non è un profilo che cerchi così, di solito ci si affida a cacciatori di teste. Insomma, mi sta chiedendo se mi interessa, ma senza domandarlo direttamente.

E' per questo che sono amico di Antonio. Uno che non guarda in faccia nessuno, ma che è capace di attenzioni maniacali nel chiedermi di lavorare con lui senza che io lo possa vedere come qualcosa di limitativo verso me stesso.

Ci penserò. Tante cose entrano in questa scelta, anche come questo lavoro potrebbe inferire con la mia vita. Ma di sicuro ad Antonio devo un grazie.

La locomotiva

Non so che viso avesse
neppure come si chiamava,
con che voce parlasse
con quale voce poi cantava...

Quante volte ho cantato questa canzone, dai tempi in cui ero liceale. Quante volte ognuno di noi l'avrà cantata, una bella ballata, di quelle che danno la carica. La voce di Guccini è la voce di tutti noi, lo è stata soprattutto per coloro che appartengono alla mia generazione.

Oggi, quando ho sentito di quella sparatoria davanti a palazzo Chigi, improvvisamente ho sentito questa stessa canzone in mente. Che differenza c'era fra "l'eroe" della locomotiva, il "pazzo lanciato contro al treno" e il pazzo che spara addosso ai primi che trova? Entrambi colpiscono a casaccio, il primo causando una strage di persone normali che viaggiano nel treno, il secondo sparando addosso a dei carabinieri la cui unica colpa è di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Azioni inutili e dannose, entrambe, fatte verso innocenti.
Ma l'uomo della locomotiva ha avuto una canzone per lui. Un oscuro episodio di lotta anarchica reso eterno, sulle labbra dei tanti che hanno cantato le strofe anche per lui. Questo pazzo non avrà nulla, per fortuna. O magari, chissà, fra qualche anno qualcuno gli farà una poesia, o una canzone, celebrandolo come alfiere della lotta contro la casta.

Ci penso e mi dico che, per quanto quella canzone mi piaccia tanto, abbia tanti ricordi legati, non ho più voglia di cantarla. Non è facendo del male agli altri che si sostengono le idee. Nemmeno urlando sguaiatamente, perché qualcuno che prende l'aggressività verbale come incitamento alla violenza, prima o poi lo si trova sempre.


lunedì 15 aprile 2013

Impressioni

E il sole, finalmente!
E i gerani, le petunie, le rose nelle fioriere.
E il lago, il silenzio, il cielo terso che lascia passare i raggi del sole che ti scaldano la pelle, che dicono che fra due mesi si va al mare.
E la notte che scende, con il color cobalto del sole calato all'ovest dopo l'equinozio.
E la luna, piccola falce con una stellina proprio sopra, luminosissima.
Ed il Mozart di Geza Anda che suona nell'auto mentre ritorno.


martedì 9 aprile 2013

Gli artisti maledetti a Palazzo Reale



Domenica sono andato alla mostra temporanea in Palazzo Reale, denominata Modigliani, Soutine e gli artisti maledetti.

Al solito, titolo acchiappapubblico, ma nemmeno troppo. In effetti, due sale dedicate a Modigliani e Soutine c'erano; gli artisti maledetti invece è una descrizione folkloristica per quella scuola artistica, se di scuola si può parlare, che fioriva nei primi 20 anni del novecento a Parigi.
In realtà scuola non fu, ma fucina di una buona parte dell'arte europea e non solo del novecento si. Fra Montmartre e Montparnasse in quegli anni transitarono scrittori, musicisti, pittori, filosofi, che poi aprirono i filoni più disparati. Picasso, Modigliani, Satie, Stravinsky e tantissimi altri, assidui frequentatori dei bistrot della zona e dell'assenzio, dell'hasish e dell'alcol, mediamente alla fame, quasi tutti di origini semite.

La vita di bohème, insomma


Amedeo Modigliani


Questa mostra, per me, è stata importante per la scoperta di pittori che non conoscevo affatto. Ma soprattutto è stata la folgorazione della poetica del ritrattismo. In un periodo artistico di pura rottura di ogni schema, nella letteratura come nella musica e nella pittura, questi artisti d'avanguardia, chi più chi meno, ripresero e rielaborarono il concetto del ritratto, non più come verosimiglianza (la fotografia consentiva già di ottenere ottimi risultati) ma come lettura introspettiva ed interpretativa nella somiglianza dei soggetti. E' impressionante vedere, dove erano disponibili, le foto dei soggetti ritratti e il dipinto. Ci si rende conto che, all'interno della destrutturazione dell'opera, i tratti somatici sono riconoscibilissimi. Ma il pittore evidenzia, fa uscire dal quadro l'anima della persona.

Mi ha particolarmente colpito questo quadro di Soutine, un pittore russo evidentemente pazzo, ma capace di rendere con una potenza esagerata il carattere del soggetto. Questo ritratto di ebreo mi richiama questo brano di Mussorgsky, Gnomus, tratto dai Quadri di un'esposizione, altrettanto potente e descrittivo.



Chaim Soutine



Un'artista che non conoscevo assolutamente è Suzanne Valadon. Una pittrice senza alcuna formazione, una modella che, posando, ha rubato la tecnica ai pittori che frequentava, e ha rappresentato il suo mondo, il suo punto di vista. I suoi nudi, autoritratti spesso, potenti, sensuali, sono miracolosi per quanto riescono ad esprimere uscendo al di fuori degli schemi accademici













Suzanne Valadon



Fra i vari tipi di ritratto, il nudo è quello più di rottura con la società e la cultura borghese di inizio 900. Un nudo non interpretato, urlato quasi, come nel caso di questo a fianco, che sfuma i dettagli del viso per concentrarsi sulla resa dell'addome del soggetto, con una resa non realistica, ma verosimile, e d'impatto emotivo molto evidente.














Henri Epstein



O come questo ritratto, che deve il suo impatto nella posa non ortodossa della modella, non certo nella sua esecuzione..

















Zygmunt Landau


Una mostra interessante, a mio avviso. Da gustare senza preconcetti, senza pensare di trovare il grande autore, ma un buon sentiero per avvicinarsi ad un periodo cruciale per l'arte europea.

giovedì 4 aprile 2013

Continua così, papà

"Venite tutti e due qui", ci dice. Si avvicina al pc, le chiede come fare a collegare tanti files word mantenendoli separati, tuttavia. Io già mi elaboro un raffinato sistema di link ad oggetti esterni e mi attrezzo a fornire una risposta tecnicamente elegante, asettica e molto incasinata, ma mia sorella - si vede che è una madre - gli dice: "fai una cartella nuova e buttali tutti li dentro".
L'uovo di colombo. Mio padre apprezza questa soluzione semplice e comprensibile. Io mi sento un nerd psicotico. Per fortuna non avevo aperto bocca.

Peraltro non capisco perché ci abbia chiamato entrambi al suo pc (di cui d'altronde non riesco nemmeno a leggere lo schermo, e lui lo sa). Ma ci ha chiamati con l'aria misteriosa che, da anni oramai, abbiamo imparato a non contrastare con domande, se non vogliamo che la spiegazione ritardi ulteriormente.

Comincia a spiegarci che in quei files ha descritto tutto quanto possiede, elencato beni, azioni, monete d'argento (si, mio padre ha sempre avuto la fissa di investire in queste baggianate, e non ammette di averci perso dei gran soldi). Ovviamente descritti nel modo più prolisso possibile, come sua abitudine, mescolando informazioni utilissime con una quantità di altre assolutamente inutili. Lo osservo mentre mostra il tutto a mia sorella, io me ne sto lontano, in disparte, e guardo la scena. Lo so, glielo avevo suggerito io mesi fa di fare qualche appunto, cercando di essere il più delicato possibile. Ha 84 anni mio padre, e sa anche lui di non poter aspirare a molti altri ancora, per di più con la lucidità che finora ha conservato. Eppure, vedere che dopo mesi ha finito il lavoro e ce lo presenta, mi ha calato addosso una tristezza enorme. Ci racconta che molti suoi amici, ex colleghi, sono affetti da malattie senili, taluni oramai non sanno più nemmeno chi sono. Teme di poter diventare anche lui così, e allora preferisce mettere tutto su file.
Sorrido. Ha elencato un sacco di malattie, ma ha evitato accuratamente di ricordare che, oltre alle malattie, alla sua età potrebbe mancare da un giorno all'altro. E' un buon segno: significa che si sente ancora in forze. Fa progetti per il futuro. Non smette di vivere.

Continua così, papà.