Lampo di luce che scende, e illumina la scena un secondo prima che il destino si compia. San Matteo sdraiato, le braccia aperte quasi ad accogliere la spada che sta per colpirlo.
Da una nube un angelo quasi si scaraventa giù, per arrivare a donar la palma del martirio al santo, prima che questo muoia. Attorno tutti guardano atterriti il "dopo". Già sanno. Devono saperlo.
Così è richiesto dalla controriforma. L'iconografia deve contenere evidenti tutti i segni che ricordino la retta fede. Tutti. La scena del delitto è li, costruita, arricchita di tutto quello che aiuta a celebrare il divino. Esagerata, barocca in tutta la sua opulenza. Quell'angelo che scende dalla nuvola è ridicolo nella sua irrealtà iconografica. Un baldacchino iconografico, ecco.
Ma... ma in fondo, giusto a sinistra della spalla del carnefice, sul fondo, da dietro un sipario creato da una figura evanescente, spunta un viso. Non fa parte della scena, non di quella recita. No.
E' il Caravaggio. Si sporge, guarda.
E' disgustato dalla scena. Ma non atterrito, non inorridito. No, è un disgusto, un raccapriccio quasi dolente. Dover rappresentare questa pantomima per poter essere accettato, per non essere, una volta ancora, tacciato di vilipendio. Tutto come vuole il committente.
E la perfezione della macchina barocca, una delle più splendide mai rappresentate da un artista, l'artista stesso la guarda con spregio, con tristezza. Caravaggio non sta guardando il martirio: sta guardando l'opera da dentro, e la sente estranea. Fasulla.
Quanto diversa è da un'altra sua opera, questa si viva, vera, partecipata. Il martirio di San Pietro
La costruzione falsamente semplice, la X identificata dalla croce da una parte, e dai due uomini che la issano dall'altro. L'uomo in primo piano non si vede in viso, ma il culo, nello sforzo di innalzare il legno. I suoi piedi luridi, in primo piano. Veri. Il terzo personaggio, all'estremità della croce, è ancora lui, Caravaggio, ritratto in ombra. Partecipe dell'azione, questa volta. Il quadro è suo, è vero, questo è il suo modo di sentire la pagina delle scritture. Ovviamente la tela non viene accettata dal committente: blasfema.
Il bello è nell'invenzione che travalica la regola. Il capolavoro fatto con il bilancino viene giudicato dall'autore stesso, con quella smorfia di disapprovazione.
Il bello è in quei piedi luridi, esibiti come verità. E' nell'emozione raccolta guardando la tela, secoli dopo.