sabato 30 marzo 2013

Passione Luterana

Ieri sera ho preso il mio posto in uno dei più bei palchi della Scala, per assistere alla Passione secondo Matteo di Bach. Il clima non propriamente pasquale, anche se almeno ier sera non pioveva, ma dentro di me sentivo tutta l'uggia di questa primavera che non si decide ad arrivare, risuonando così con la malinconia del mio umore degli ultimi mesi.

La Passione eseguita il venerdì Santo. Esattamente come l'aveva pensata Bach. Credo sia stata un'operazione culturalmente felice di proporla nella ricorrenza sacra per la quale è stata pensata, in modo da sottolineare alcuni aspetti dell'opera che, a mio avviso, trascendono l'opera stessa.

La tradizione cattolica prevede per il venerdì Santo le processioni, la celebrazione del sacrificio di Cristo nel momento dell'anno più speciale. La Passione è una rappresentazione liturgica, secondo l'idea luterana che incoraggia il supporto musicale nella meditazione e nella preghiera. La Passione altro non è che il Passio, ossia la lettura delle pagine evangeliche della Passione del Cristo, però espresse in musica ed intervallate da brani meditativi. Rappresentare quest'opera di Bach nel venerdì Santo, insomma, è fare una liturgia che è tutt'altro che laica, è riprendere la tradizione di preghiera luterana e riproiettarla nella realtà cattolica che viviamo.

Anche per questa ragione ho voluto parteciparvi. Oltre all'ascolto di pagine meravigliose, c'era questo pungolo a vivere una sfera di religiosità che mi facesse confrontare con i temi della fede. Non pretendevo di trovare risposte, né le ho trovate, ma è stata una buona occasione per farmi domande, e trovare intuizioni artistiche che provassero a suggerire delle risposte.



Certo, il linguaggio di Bach forse non è dei più comprensibili oggi, e certi rimandi strutturali nell'opera (il tema iniziale che è lo stesso che chiude l'opera, in una specie di circolarità storica che rappresenta la riproposizione della Salvezza; lo stesso tema che è chiave per il contrappunto sull'altro tema ripetuto più volte  nei corali meditativi, con i due temi che si innestano quasi senza farsene accorgere, con la linea dei soprano invariata rispetto alle precedenti riprese, mentre le altre voci contrappuntano con diverso tema, creando un volume differente) resi magistralmente dall'orchestra e dal coro della Verdi sono comunque poco evidenti ad un orecchio non allenato. Ma la tensione, la preghiera, la rappresentazione del mistero di Dio che si sacrifica per l'uomo, è comprensibile a tutti.


Strana e mirabile, questa condanna!
Il buon pastore soffre in luogo delle pecore,
sconta la colpa il Signore, il Giusto,
in luogo dei suoi servi.

Sono uscito da tre ore di concerto con il cuore gonfio di domande, nessuna nuova risposta, ma la sensazione di aver avuto la visione di una realtà che non so vedere razionalmente, non so capire.


giovedì 28 marzo 2013

Il tempo fra i denti

L'unico segno tangibile della primavera sono gli afidi che hanno assalito le tenere foglioline delle mie rose. Per il resto, soprattutto qui a Parigi, sembra febbraio. Stamane, oltre al freddo che mi ha reso rosse le mani nella camminata dall'ufficio all'albergo, qualche piccolo fiocco di neve cercava di farsi largo.

Questo inverno, pesante, grigio come una lastra d'alluminio, non ne vuol sapere di finire. Perfino i fiori della magnolia si sono bloccati nel loro sbocciare: sono li chiusi, il bianco striato di rosso aggrovigliato. I pensieri che rivivono il passato, e io che cerco di tenerli distanti. Il male dentro che mi ricorda che se ho deciso di vivere pericolosamente lo devo fare fino in fondo, senza lamentarmi.

Eppure, l'anno scorso qui c'erano già i crochi che sbocciavano. Quest'anno sembra che non siano neppure stati seminati...


lunedì 25 marzo 2013

Il Trovatore

Come ho già scritto altrove, l'opera è un amore tardivo per me. Non so ancora nemmeno se di amore si possa parlare, a dir la verità: mi ci sto incamminando da qualche anno, con passi incerti, che denotano interesse e perplessità allo stesso tempo. Ma come tutti gli amori tardivi ha un sapore molto strutturato, pieno di rimandi, di armonie sconosciute e bizzarre, di scoperte e di intuizioni.

La chiave di svolta, per me, è stato comprendere che l'opera non è musica, non solo. E' teatro in musica, e come opera teatrale va approcciata. Di sicuro i libretti non sono spesso capolavori della prosa, anche per la necessità di condensare il testo a causa della lentezza imposta dal canto, tuttavia il canto stesso nobilita scritture che non si può non considerare traballanti dal punto di vista letterario.

E' il caso del Trovatore, che ho appena finito di seguire. Una rappresentazione con un organico orchestrale ridotto ma non povero (il volume sonoro era assolutamente sufficiente), scenografia essenziale (caratteristica di molte messe in scena del teatro Lirico di Como), attenzione al canto e alla recita.
Il Trovatore: un libretto a dir poco sgangherato, sostenuto però dalla forza di una musica che riesce a nasconderne le assurdità e la pochezza. Forza che deriva da una scrittura che, pur portando ancora la marca indelebile del Verdi "popolare" (le cabalette tutte uguali, gli accompagnamenti ternari da um-pa-pa bandistico) mostra già una ricerca musicale che poi si svilupperà appieno nelle opere seguenti. Ma è soprattutto la scena che unendosi alla forza della musica riesce a donare all'opera una verosimiglianza altrimenti difficile da sostenere.

La rappresentazione di questa sera ha portato giovani cantanti, non perfetti ma interessanti. Non ne conosco i nomi, purtroppo, ma l'organico era di buona qualità vocale, con punta di eccellenza nel baritono. Comunque tre ore passate senza accorgersene, tre ore di teatro, musica, emozione. Si, perché nonostante alcune manchevolezze anche notevoli, tutti i cantanti hanno messo l'anima ed il cuore. E, per quanto mi riguarda, questo mi emoziona sempre. D'altronde, l'amore è anche fatto di emozione...


sabato 23 marzo 2013

Abduraimov

Un mese fa l'avevo sentito suonare nel Triplo concerto di Beethoven, e mi aveva stupito. Questo giovanissimo pianista mi aveva colpito per la sua maturità, per la freschezza di lettura e la capacità di prendere in mano l'orchestra quando serviva. Cercai il suo sito web, e guardai se aveva pianificato qualche concerto da solista nei prossimi mesi. Purtroppo a Milano e dintorni nulla, solo tre concerti identici fra le Marche e l'Emilia. Decisi di andare a sentirlo a Modena, e acquistai il biglietto.

Oggi era il giorno. Il percorso Milano Modena l'ho fatto decine di volte, per lavoro e per cuore. Posso sbagliarmi sui tempi di percorrenza di qualche minuto, non più di dieci. Anche oggi, nonostante che dall'ultima volta fossero passati molti mesi - me ne son reso conto con stupore - non mi sono sbagliato nel tempo. Sono arrivato con l'anticipo necessario per parcheggiare con calma, farmi due passi, bere un caffè, dare un occhio al centro e poi andare a sentire Abduraimov nel suo programma, peraltro abbastanza scombinato.

Il giovane comincia con Alessandro Scarlatti: tre famosissime sonate (27, 450, 96), repertorio ghiotto di Horowitz e di Benedetti Michelangeli. La sua interpretazione non segue nessuna delle due: non ha la purezza neoclassica del secondo, ma nemmeno la vivacità timbrica del primo. Abduraimov mi pare piuttosto sperso nell'interpretare questo autore, e non si può applicare per lui la vecchia cattiva battuta che facevano ad Horowitz (il suo Scarlatti è splendido perché non lo capisce...). Alla fine, pensandoci, mi sono reso conto che non aveva trovato il cuore interpretativo dei brani, e non li riusciva ad interpretare. Dopo Scarlatti è stata la volta di una complessa sonata di Beethoven (la 12 op 26), che evidentemente gli è più congeniale. Pur mantenendosi su un'interpretazione che non mi ha dato emozioni, l'espressività e la genialità che a tratti sono emerse mi ha fatto ben sperare per il resto del concerto.

Purtroppo la chiave del resto del programma è stata quella del virtuosismo: la Fantasia di Chopin - che è una delle pagine del compositore polacco che meno mi piace - seguita da tre brani di Liszt. Il primo è la trascrizione per pianoforte della Danse Macabre di Saint-Saens, eseguito in modo molto trascinante. Il secondo era la Benedition de Dieu dans la solitude, e secondo me non è stato reso bene il pathos sognante Lisztiano che pervade molti brani di questo compositore. Qui, come sul difficilissimo brano di chiusura (lo scherzo e marcia op 177) l'accento è stato messo sulla tecnica e sui volumi sonori, veramente impressionanti. Abduraimov sa tirare fuori dal pianoforte dei suoni inusitati: l'energia violenta che scarica sulla tastiera è ideale per esprimere alcuni passaggi di Liszt; il problema è che si è persa, a mio avviso, tutta la traccia poetica che deve coesistere con la tecnica strabiliante. Cammeo di chiusura il meraviglioso notturno di Tchaikovsky.

Mi sono rimesso in strada per tornare incapace di definire l'ascolto fatto. Una sensazione di assenza di sapore, di mancanza di emozione. Sensazione assurda perché dal lato tecnico le emozioni ci sono state, e tante. Modena mi ha fatto tornare sotto una pioggia battente. Il cielo ha concentrato sulla città tutte le lacrime che non ho pianto io.


mercoledì 20 marzo 2013

Equinox

March 20th, 2013 11:02 UTC

Al botto di mezzogiorno sarà ufficialmente primavera... Qualunque cosa significhi.



lunedì 11 marzo 2013

Business as usual

Lavare i panni. Far finta di sistemare la scrivania. Reinstallare il pc di casa (dopo 4 anni s'ha da fare). Pranzo dalla mamma, e conseguente digestione difficile. Teatro, bello peso. Concerto.

Prenotare una settimana di vacanza. Progettare il ponte del primo maggio. Guardare con interesse i pantaloni leggeri, finalmente. Momix, Scala, concerto di Abduraimov, teatro ancora. Udine, Napoli, Parigi. Comprare un papillon? Palestra. Cazzo, prenotare il check-up, son tre anni che lo salti.

Una porticina nel vetro della cucina per la gatta? Potrebbe essere un'idea. Voglia di fare un incursione da Ricordi a comprare musica. Prenotare mostra di Modigliani. Le due cose insieme, ecco, Ricordi e Modigliani. Viene bene. Ottimizziamo.

La barca, la barca. M. ha detto che la mette in acqua presto, quest'anno. A maggio la si sposta. Ho trovato la mia cartelletta di navigazione, compasso squadrette, tavole, tutto quello che serve per la rotta. Già, la rotta. Una rotta tutta a zig zag, le correnti che ti spostano ti sbandano il vento ti schiaffa la faccia bello salato umido caldo. Si caldo. Caldo come... pensa al cielo azzurro al vento ai pensieri e parole dette fra amici alla chitarra scordata per passare il tempo ai delfini che ti vengono sempre a trovare al largo di Rosignano.

Delfini. Mare. Vacanza. Sabbia. Sole. E avanti. Business as usual.


venerdì 8 marzo 2013

Ma qual'è il vero vuoto?


Questo gioco dei post sul vuoto è stato per me interessante. Partito da uno stato d'animo, è diventata una provocazione, una ricerca. Chi ha interagito in vari modi (telefono, commenti, email) ha dato la sua interpretazione. Per me è stato molto interessante seguire le differenti sensazioni, i differenti approcci che ognuno ha voluto seguire.

Una provocazione, come l'opera qui sopra. Una scatoletta, non si sa bene se piena del prodotto in etichetta o no (credo che nessuno ne abbia mai aperta una), che Manzoni creò per dimostrare che il valore di un'opera dipende anche da una serie di fattori che sono avulsi dall'opera stessa. Sicché mise della merda in scatola, e ne fece un'opera d'arte. E pare che queste scatolette abbiano una quotazione da 60000 euro l'una....

Ora, come la merda di Manzoni, anche questa lagna (come dice i.) del vuoto ha avuto il valore e l'interpretazione che ognuno ha voluto darle. Sed l'ha presa come un gioco, e mi ha suggerito un passaggio. Altri l'hanno presa come una sofferenza. Altri come interpretazione di un messaggio che cercavo di far passare.

Credo di aver imbastito qualcosa che avevo in mente: una specie di installazione fatta con dei post, un percorso che creasse su di un blog un'esperienza analoga a quella di un'installazione artistica moderna, vivendo la quale ognuno riempie il vuoto che la rappresenta utilizzando il proprio contenuto, la propria espressività. L'osservatore parte integrante dell'opera, artista egli stesso con la sua partecipazione all'installazione. 
Non so quanto sia riuscito ad avvicinarmi a ciò che avevo in mente, e non so quanto questo possa interessare a chi è passato di qui. Probabilmente il risultato assomiglia al contenuto del barattolo, ma quel che conta, per me, è averci provato....