mercoledì 22 luglio 2015

Non si ama abbastanza

M. mi manda un whatsapp raccontandomi che sua figlia sta attraversando un brutto momento con il marito. Non sono esattamente la persona più indicata per questo tipo di problemi, avendo nel mio curriculum un divorzio ed una rottura di un rapporto al quale tenevo tantissimo ma che non son riuscito a preservare (forse perché bisogna essere in due per farlo? chissà), però rispondo alla sua muta richiesta di scambio di opinioni e vado a prendere una cedrata da lei.

Si, può sembrare alquanto strana sta cosa, di M. avevo parlato anni fa qui. Un'amicizia valica anche le differenze significative d'età (suo figlio ha pochi anni meno di me) e si nutre di stima, di rispetto, di comprensioni che si possono assimilare a complicità, anche se ben diverse da quelle di due persone che si amano. Con M. abbiamo visto mostre, discusso di politica, litigato sui massimi sistemi e su come coltivare i fiori. Mi ha raccontato parte della sua vita, e io parte della mia. Ha assistito alla mia storia, ai miei sforzi inutili per non farla finire, e ai sensi di colpa di cui mi sono nutrito. Mi è stata vicina senza giudicare, cercando di darmi il punto di vista suo, ma senza imporlo.

Mi parla di sua figlia, di suo marito. Dei problemi che sembrano esserci. La figlia che perde il lavoro, ricco e di soddisfazione, e non accetta un ripiego, avventurandosi in un'attività impegnativa ma senza riscontro economico. Il marito che le rinfaccia di essere "choosy", di non contribuire a far avanzare la baracca. Sottotraccia il timore di non riuscir da solo, e la gelosia di non essere anche lui libero di poter scegliere in base all'appagamento, ma costretto a guardare solo all'aspetto economico. In mezzo le cattiverie, le ripicche, le frasi sbagliate dettate dall'ira, dalla frustrazione, dal non voler ammettere una cosa di cui, in fondo, ci si vergogna perché mette a nudo la propria fragilità.

Via via che M. mi racconta sento montare dentro di me l'angoscia di un rapporto che ha tanto di buono dentro, e che si butta via per mancanza di comunicazione da parte di entrambi. Rivedo la mia relazione, e scorgo tanti parallelismi. Riconosco gli errori che ho, che abbiamo commesso insieme, due orgogliosi e testardi che piuttosto di fare un passo ed ammettere di non essere "perfetti" hanno rovinato tutto. Non voglio che succeda anche a loro, è evidente che hanno tante cose che li uniscono ancora fra loro, amore e figli.

Sommessamente spiego a M. che lei può fare qualcosa: entrambi la ascoltano, vedono nella sua ruvida intelligenza un riferimento da ascoltare. Le dico che avere qualcuno che sappia far vedere le cose da fuori è importante (un altro mio errore non averlo cercato quando era tempo), ma ancora più importante è saper mostrare che, quando ci sono problemi, si possono superare solo insieme, con la consapevolezza delle reciproche colpe (non stanno mai tutte da una sola parte, e l'autoassoluzione totale è solo un modo di non voler affrontare il problema) e soprattutto con il perdono, che non cancella ciò che è stato, ma è l'unico modo per dire: "quel che è successo non può essere cambiato, ma da qui ripartiamo. Resterà un segno, che ad ondate si ripresenterà come un'ombra, ma solo perdonando ci diamo fiducia reciproca, anche contro la razionalità".

M. mi guarda, capisce, e mi dice: bisogna essere in due. Uno può commettere un errore, ma bisogna ripararlo assieme, altrimenti non è amore. Se non si perdona - anche al di la della razionalità e delle paure - è vero, non si ama abbastanza.


4 commenti:

Pellegrina ha detto...

'fanculo al marito. No, non sono diplomatica né non giudicante, anzi trovo quest'ultima cosa un errore gigantesco della political correctness. Lascerei tali comportamenti ai professionisti.

Ilmondoatestaingiù ha detto...

@pellegrina: si, hai ragione a sfancularlo. Credo, per quel che ne so, che una fetta corposa della situazione sia colpa sua, anche se non tutta la responsabilità credo gli competa. In ogni caso è proprio la mancanza di dialogo, sostituito dalle recriminazioni, ad aver innestato una spirale dalla quale non si uscirà facilmente.

Io mi sono convinto che solo se si vuole affrontare in due, costruttivamente, si può crescere, anche a fronte dell'errore di uno solo della coppia. Le recriminazioni del "hai fatto tu, ripara" sono un modo, nemmeno troppo onesto, di chiamarsi fuori. Hanno senso solo nella fase acuta del dolore, ma non possono essere la soluzione.

Pellegrina ha detto...

Sante parole, ma come pensi che io riesca a non postillarle? la mancanza di dialogo e la negazione, vale a dire la recriminazione silenziosa, sono mortifere; allo stesso tempo però, una riparazione a volte è necessaria a entrambi per ritrovare l'equilibrio paritario che solo può permettere di superare e costruire realmente insieme.
Le diabolicamente scaltre tappe del perdono cristiano insegnano.

Ilmondoatestaingiù ha detto...

@pellegrina: come non essere d'accordo? In particolare hai colto una sottigliezza fondamentale. Il diabolicamente scaltro perdono cristiano consiste in alcune fasi: esame di coscienza (ovvero autocoscienza del proprio comportamento), riconoscimento dei propri errori, proposito di cambiamento, confessione (ossia dichiarazione consapevole all'offeso del proprio errore), assoluzione, ossia perdono. Un workflow esemplare, che prevede, da parte dell'offeso (la divinità) un perdono subordinato alla verità del processo.

Dinamica che impegna offensore ed offeso, quindi.