mercoledì 15 luglio 2015

Do Re bemolle

Diciott'anni ancora da compiere. Londra. La notte di San Lorenzo, il pub, la Guinness. La vita che si presenta. Amici, amiche.

Girare per la città. Ridere, scherzare. Guardare quella ragazza dai polpacci troppo grossi. Quell'altra dal corpo spettacolare. Trovarsele entrambe al cinema sedute al mio fianco, le loro mani addosso finché si accorgono l'una dell'altra.

Il vecchio college, pavimenti di legno che scricchiolano. Stanze ampie. La cappella con un pianoforte accordato e decente, ma soprattutto con una collezione di spartiti interessanti. Beethoven. Chiaro di luna. Patetica. Appassionata. La musica nelle dita. Comincio a studiare. A diciott'anni si impara veloce, le dita non sanno il corpo delle donne, ma sanno molto bene la tastiera. I pallini neri entrano nelle mani, escono suoni. Escono emozioni. La ragazza dal corpo spettacolare non capisce, e io non capisco il suo corpo. La ragazza dai polpacci grossi capisce, e mi insegna a capire.

La luce della notte che entra dalla finestra aperta, il muro di mattoni rossi di fronte. Lei che si muove adagio sopra di me. Un mondo nuovo che scopro. Un mondo che si muove diversamente ma insieme ai pallini neri sul pentagramma. Si cammina nella notte. Si guardano gli occhi. Non solo quelli.

Sbaglio i tempi, stono. C'è così tanta differenza fra lo spartito, i tasti bianchi e neri, la pelle profumata e calda. Da un lato i passaggi tardo neoclassici d'agilità, dall'altro le scale.

Tanti anni son passati da allora, e quella stonatura la guardo con affetto. Le mani non sanno più i tasti bianchi e neri, hanno perso l'agilità della musica. Gli spartiti della vita si sono susseguiti, lasciandomi ogni volta con quel senso di vuoto e di amaro che c'è in un passaggio sbagliato, in un passaggio nel quale Do e Re bemolle fanno a pugni, incapaci di accordarsi su qualsivoglia tonalità. Eppure sembravano perfetti, in quel giro armonico iniziale, e continuo a chiedermi perché non lo sono rimasti.



Nessun commento: