domenica 31 luglio 2011

Un'estate che attende la neve

Quanti anni sono che non vai in vacanza da solo? Una vacanza intera, la Vacanza, intendo, quella d'estate, quella lunga...
Mi faccio questa domanda. Devo tornare indietro tanti, tanti anni. Devo ritornare ai tempi della mia tarda adolescenza, perché il periodo dell'università, ahimè, richiedeva l'estate attaccata ai libri per poter restare in corso, potendo usufruire di una misera settimana a cavallo fra fine luglio ed inizio d'agosto, se si riusciva, perché i professori di divertivano a mettere l'appello ai primi giorni di settembre.

Bisogna costruirsi le prospettive. Individuare i desideri, discernere le aspettative. Tutto questo è nascosto in quei libri che mi sono portato appresso. La chiave è chiarissima: leggere, ascoltar musica, prendere il sole, riposare. Ho scelto una meta che non mi offra il desiderio di girare per esplorarla, proprio per potermi mettere pigramente in spiaggia a non far nulla, se non leggere. La lettura come carica batterie, come piena contrapposizione all'ubriacatura del movimento, per preferirgli la consapevolezza del pensiero.

E' strano: è la prima volta da tantissimi anni che attendo con piacere le fredde giornate d'inverno, passate a leggere seduto nella bergère ascoltando musica.

giovedì 28 luglio 2011

Complicare per semplificare

Sembra che l'inventore del logaritmo, Nepero, ebbe la geniale trovata cercando un modo di semplificare alcuni calcoli. In effetti, una volta superato lo scoglio orribile della definizione - il logaritmo in base n di x è l'esponente a cui elevare la base n per ottenere x - si capisce che le moltiplicazioni diventano somme, le potenze prodotti. Bellissimo.

Negli anni 50 e 60 le calcolatrici elettroniche non esistevano (vidi la prima all'inizio degli anni 70, il display rosso e pochissime operazioni disponibili) e i calcoli ingegneristici si facevano con il regolo. Il regolo è lo strumento che applica l'idea di Nepero del logaritmo e la rende usufruibile con velocità.
Lo ricordo, il mio regolo. Mio padre me lo consegnò, avevo si e no dieci anni. Mi insegnò vagamente come si usava, non riuscendo a spiegarmi l'arte dell'utilizzo nei casi più raffinati. Nella sua custodia di pelle, questo regolo mi pareva un oggetto iniziatico, un simbolo di una setta strana di personaggi buffi che conoscevano cose nascoste.

Passò qualche anno. L'aula con i banchi di legno ad imbuto del politecnico. Il professore di chimica che faceva le esercitazioni e ci esortava ad usare il regolo per fare i conti. "Gli ingegneri non hanno bisogno di avere 5 cifre significative, ma devono invece avere la sensibilità sull'ordine di grandezza dei risultati dei loro calcoli, e quelle maledette macchinette ve la tolgono", diceva. Io, con la mia macchinetta programmabile mi sarei pagato le vacanze dopo qualche mese vendendo programmini per fare i conti dei calcoli di scienza delle costruizioni, ma recuperai quel regalo di mio padre del decennio precedente, e mi misi a competere con il prof a chi tirava fuori il risultato più accurato e più alla svelta. Aveva ragione il prof.: spesso complicare le cose aiuta a semplificare. Nella matematica e forse anche nella vita.


martedì 26 luglio 2011

Ha ragione Borghezio....

L'altro giorno, svuotando i cartoni con i libri che lentamente andavano a posto, me ne è capitato in mano uno. Rarissimamente ho buttato un libro, anche quelli onestamente brutti, ma questo l'ho gettato senza il minimo rimorso. Si trattava di uno degli ultimi libri della Fallaci, quella serie ossessiva di libri disinformati e razzisti che scrisse dopo l'attentato delle torri gemelle.

Manco a farlo apposta, poche ore dopo la strage del folle norvegese. Oggi un'intervista illuminante di Borghezio, immediatamente seguita dalla presa di distanza dello stato maggiore della Lega. Non c'è da stupirsi: Borghezio, nella sua allucinante intervista - nella quale sostanzialmente ci dice che dovrebbe essere "attenzionato" dalla polizia in quanto fotocopia il profilo dell'attentatore - disegna chiarissimamente qual'è la logica e la conseguenza delle idee razziste da lui propugnate, e sostanzialmente supportate dalla lega. Il ragionamento è lineare: c'è un problema di coesistenza nella società multietnica, qualche eroe decide che non basta combattere con la dialettica e va per le vie di fatto - magari esagerando un pochino, eh... - e quindi nascono queste situazioni, la cui origine sta nella scelta scellerata di pensare di far convivere etnie differenti.

Dai tempi di Aristotele la logica ha un suo perché, delle sue regole che ci consentano di validare un ragionamento oppure di bollarlo come fasullo. Un ragionamento parte sempre da un'ipotesi, un'osservazione. Qualunque ragionamento corretto basato su ipotesi campate per aria porta a conseguenze altrettanto bislacche. Il punto di partenza è che esista un problema di coesistenza nella società multietnica. Qual'è questo problema? Le differenti abitudini? Le diverse religioni? La predilezione per determinati cibi? Un comportamento generalmente poco rispettoso?
Per ognuno di questi punti si può discutere se si tratti di un problema effettivamente legato all'etnia, oppure se si tratti di una generalizzazione, oppure ancora di una conseguenza di una situazione oggettivamente difficile. Se un gruppo sociale fa fatica a campare, è provato che il tasso di delinquenza tenda ad aumentare, indipendentemente dall'appartenenza ad una determinata radice culturale (potrà cambiare l'incidenza, ma non la tendenza). Le differenti abitudini sono elementi che tendono a svanire nell'arco di una decina d'anni. Non c'è abitante del nord Italia della mia età che non ricordi la diffidenza - se non l'ostilità - verso i meridionali negli anni 60 o 70. Oggi è una cosa che oramai fa sorridere nella caricatura offerta da Aldo Giovanni e Giacomo.

In realtà l'ostilità verso lo straniero, verso il diverso, è una normale tendenza difensiva istintuale, è un retaggio del nostro essere animali territoriali (e la proprietà privata che è se non una territorialità transitata dal possesso della terra a quello dei beni?). Essendo una forza istintuale è molto efficace come leva demagogica: non è un caso che ogni regime, di qualunque tipo, ne abbia fatto un grande uso per poter identificare e materializzare un nemico, un catalizzatore dei malesseri sociali, un elemento di distrazione di massa.

Non è un caso che Borghezio, nella sua crassa ignoranza, dia per verità assodata l'esistenza di un malessere sociale. Meno evidente che, in modo più argomentato - e maligno - l'abbia fatto la Fallaci. Però entrambi sono stati molto rigorosi nel seguire il ragionamento basato su questo assunto: la Fallaci esortando alla guerra santa contro un Islam disegnato come li turchi del quattrocento (dimenticando ancora una volta che il motore dell'invasione turca, e della reazione europea, era eminentemente commerciale - ancora una volta il territorio...), Borghezio esortando a menar le mani per riprendersi ciò che è nostro (forse per questo anni fa decise di dar fuoco ai cartoni degli sbandati sull'argine del Po a Torino, e che importa se sotto di essi c'era un povero cristo che non andò all'altro mondo per un pelo).

Ciò che mi fa specie non è però il ragionare di Borghezio, ma il nascondere la mano di tutti i suoi che, pur propugnando le stesse tesi, non hanno il coraggio di trarne le conseguenze. Sotto questo aspetto, appunto, ha ragione Borghezio: lui almeno è coerente, molto meno chi lancia il sasso e nasconde la mano.

Per questo ritengo doveroso gettare il libro della Fallaci. Intelligenza usata in modo malvagio. La peggiore.




sabato 23 luglio 2011

La calcolatrice meccanica

Un'enorme, gigantesca macchina calcolatrice meccanica. Chi non ha una certa età non lo può sapere: abituati ai silenziosi display delle calcolatrici elettroniche, da 2 euro, che fanno per bene le operazioni che l'80% degli esseri umani conoscono, le macchine calcolatrici meccaniche possono sembrare dei mostri usciti dal pleistocene.

Ricordo bene un modello Olivetti, che mio padre aveva nel suo ufficio. Modello di gran lusso, elettrica (non c'era la manetta da slot machine per azionarla e farle fare il conto, un po' come i registri di cassa dei film americani degli anni 40), pesava in modo impressionante. Dentro, meccanismi meravigliosi, ruote dentate che ingranavano anelli trascinati da altri anelli, un gioiello, quasi più complessa di un orologio. A ogni somma, un bel sgrang! sonoro, il meccanismo che trasformava in meccanica la logica matematica.
Impazzivo per quella calcolatrice, soprattutto per i tasti più particolari (enormi, duri) che mostrava: l'asterisco della moltiplicazione, il segno di divisione. Una sera mio padre la portò a casa. Per me, festa grande. Cominciava la sfida numerica con l'oracolo meccanico. Somme. Ok. Sottrazioni. Facili. Passiamo alle moltiplicazioni. La macchina comincia a fare a lungo rumori, poi finalmente stampa sulla striscia di carta il risultato. Bene. Divisione. La mamma comincia ad inquietarsi per il baccano che questa macchina produce, ma lascia perdere. Bene. E' giunto il momento: "papà, come si fa l'elevamento a potenza?". Mio padre mi guarda. Che cazzo ne sa quel bambino dell'elevamento a potenza? Prende il manuale e scopre che c'è una levetta da azionare, poi bisogna operare in un modo particolare. Bene bambino, sei soddisfatto? Si papà, ora provo.
La macchina comincia ad emettere il suo rumore faticoso. Un minuto di sgrang! continui. Due minuti. Tre minuti. La mamma si lagna. Il papà si chiede cosa stia facendo. Anzi, me lo chiede. Una potenza, papà. Gli dico cosa, e lui sbianca. La macchina continua, si lamenta quasi, ma non arriva al risultato. Finalmente alza bandiera bianca, stampando una fila di asterischi.

Bene. Guardando la mia macchina calcolatrice, che ripassa la mia storia facendo un gran baccano, non vorrei che alla fine uscisse una fila d'asterischi.
Non lo vorrei, perché io, il risultato, l'ho già calcolato..



domenica 17 luglio 2011

Passeggiata nello spazio a 32 dimensioni

- Sta venendo il fresco, finalmente
- Già....
- Sembrerebbe che la cosa ti dispiaccia...
- No, no...
- Ma?
- Ma vedi, mi chiedo: questo non è il periodo del caldo?
- Certo! Infatti l'abbiamo avuto fino a ieri!
- Ecco, appunto. L'abbiamo avuto fino a ieri. Qual'è il confine segreto, invisibile, che abbiamo attraversato?
- Oddio! Ma che cosa stai dicendo? Semplicemente è arrivata una perturbazione, che ci fa respirare.
- Si, ma il problema non è quello. Il discorso è un altro. Questo è il periodo del caldo, quindi deve fare caldo, se la categoria funziona.
- Uffa! Ma è una tendenza, una generalizzazione
- Certo. Ovvio. Una generalizzazione che, guardacaso, oggi non funziona. Ci sono venti gradi, e la gatta si lamenta per il freddo
- Apetta qualche giorno e vedrai, il caldo tornerà come prima.
- Non mi interessa. Io sono interessato alla labilità delle categorizzazioni. Quale maggior sicurezza di caldo afoso se non in luglio? Ecco, una categoria che fallisce. La nostra conoscenza è basata tutta su queste categorie, su questa astrazione indimostrabile. Se l'albero delle mele, un giorno non fa più mele ma pere, non bisogna stupirsi. Eppure tanti di noi griderebbero al mistero
- E ci mancherebbe! Da quando in qua un melo fa le pere?
- Ecco. Il tuo conoscere finto astratto fa si che tu, solo perché l'albero ha fatto mele fino ad ora, lo consideri un melo, immutabilmente melo. In realtà lui fa le mele perché la catena infinta di cause-effetto che albergano nella sua vita l'ha portato a far mele fino ad oggi. Chi ti dice che qualcosa non possa cambiare in questa sequenza e che lui, sempre lui, sempre lo stesso albero, si metta a fare pere, o un altro frutto?
- Me lo dice l'esperienza, me lo dice tutto quello che vedo attorno a me
- Già. Quello che vedi. Infatti tu vedi il continuo spazio-temporale. Anzi, sai che pare che questo sia descritto da non meno di 32 dimensioni, non le tre che conosciamo più il tempo? Le vediamo noi 32 dimensioni? Oppure sono solo il risultato di un ragionamento logico che fa a pugni con la realtà?
- Ma insomma, che cosa vuoi dirmi?
- Voglio dirti che io sono qui, ma forse no. Chissà dove sono nelle 32 dimensioni dello spazio. Ma voglio soprattutto dirti che la verità è talmente sfuggente che ci si potrà avvicinare, forse, ma mai catturarla. Tanto, appena la individui, quella come un gatto si nasconde sotto al letto....
- Senti, ma perché devi sempre andare così lontano dalla realtà?
- Perché cercavo un modo sicuro per sapere se domani devo mettermi un pullover :)

giovedì 14 luglio 2011

Dieta

Avere finalmente la cucina montata ha il suo bel perché.

Se non altro potrò evitare di venir sfamato da mia madre con ossibuchi e polenta. A 30 gradi e 85% di umidità

mercoledì 13 luglio 2011

Piccola estetica del piacere

Sopra alla pelle rossa della scrivania di radica mi guarda l'ultimo Montalbano. Una specie di rito, per me. Una lettura spensierata, avvincente, quasi come una voce di un amico che ti sussurra.
L'ultimo di Montalbano è li. Lo guardo nella sua elegante copertina, la consueta eleganza della Sellerio. Un piccolo, ulteriore elemento di fascino.

Come ogni cosa piena di fascino, va assaporata lentamente. Un ottimo vino non va bevuto a garganella, un piatto di Igles Corelli non va ingollato (a proposito, ora Igles è a Pescia, non più a Ostellato. Che sia il caso di scoprire questo borgo?), un quadro va osservato con calma (odio i musei infiniti, dove corri davanti a dipinti che richiedono attenzioni ben diverse). E così questo libro mi saluterà a lungo, dalla scrivania. Voglio gustarlo con il giusto tempo, senza fretta. Lo leggerò fra qualche settimana, sulla spiaggia, nella completa solitudine del respiro dell'oceano e del sole che accarezza la mia nudità.

I piaceri vanno assaporati. A volte in solitudine.

martedì 12 luglio 2011

Il fresco, metafora dell'azione

Attendere la pioggia. E' il mantra di questi giorni divorati dall'afa del basso varesotto. La pioggia che riporta la temperatura ad un valore accettabile. Eppure so che la temperatura che abbiamo qui è nulla in confronto a quella di altre città, e probabilmente anche l'umidità non è comparabile.
Comunque fa caldo, un caldo spossante. L'estate prima dell'ultimo trasloco, quella del 2003, fu peggiore, senza dubbio. Quella di quest'anno non le sta vicina nemmeno per sbaglio. E' una bella consolazione questa: si sta meglio di quando si stava peggio. Lo stesso potrei dire fra poco, se questo scioperato di temporale si decidesse a rinfrescare l'aria e farmi finalmente sentire di nuovo differente da un'anguilla sudata.

L'attesa del fresco assomiglia molto all'attesa di qualcosa di diverso, di migliore. Le è molto vicina se il migliore che si attende si pensa che cali dall'alto, si materializzi davanti a te - ehi, mi vedi? - e tu non debba far altro che tendergli la mano.
No, non credo che la speranza sia una strategia vincente. Non sono un fideista del volere è potere - credo sia una bella storiella per anime semplici - ma non penso che il culo sia la ricetta per ogni situazione. Per cui credo che il miglioramento bisogna provare a costruirselo, a favorirlo. A volte forzandosi, a volte vincendo pigrizie, remore, timori.

Insomma, forse è il caso che mi compri un condizionatore!

venerdì 8 luglio 2011

Il tempo in un mazzo di chiavi vissute

I mazzi di chiavi allineati sulla scrivania. Uno, due, tre, quattro. Il quinto più grande, completo. Lo tolgo lentamente dal suo portachiavi di pelle, mentre considero l'opportunità di riutilizzarlo per le nuove chiavi di casa, piuttosto che acquistarne uno nuovo.

Ecco, domattina alle undici si compirà l'ultimo atto. Consegnerò il segno tangibile di possesso al nuovo proprietario di quella casa che conosco in ogni suo dettaglio, che ho visto costruire giorno per giorno, andandola a vedere mentre i muratori la tiravano su. Quella casa che ho immaginato fin da quando esisteva solo sui disegni, della quale ho discusso per mesi e mesi prima che esistesse, e mesi quando son stato costretto a separarmene. La pietra serena delle scale. La cornice del camino scelta nel veronese. Le porte gemelle all'inglese, che la nuova proprietaria, capra, non ha nemmeno capito.

Tutto finito. Da domani, non esisterà più nulla di ciò per me. Un'altra famiglia (una vera famiglia) entrerà in quella casa, le sue stanze avranno altre voci. Il giardino non ospiterà più la micia.

Tutto scorre. E forse ci sarà un nuovo giardino, un nuovo camino.
E nuovi sorrisi

giovedì 7 luglio 2011

Vivere il sogno

Non ti è mai capitato di pigliare in mano un atlante, e cominciare a viaggiare? Ero bambino, e l'atlante era uno dei libri che mi attirava di più, a fianco dei libri sull'epopea della conquista della luna, e di quelli di astronomia. E in questi ultimi c'era una foto che ritrovai sull'atlante: il Manua Kea, un alto vulcano spento nelle Hawaii, dove si trovava una densità abnorme di osservatori astronomici, telescopi ottici piazzati li per sfruttare l'aria straordinariamente pulita e priva di umidità e di luci.

Viaggiavo, bambino, con la fantasia. Salivo in cima a quella montagna. Vedevo il paesaggio. Sentivo l'importanza dello sforzo a capire l'universo.

A volte la fantasia precorre la realtà. Su quella montagna ci sono salito. Ho visto l'oceano Pacifico dai 4200 metri dell'osservatorio, ho sentito l'affanno da respiro che manca, ho parlato con il ranger, ho vissuto il sogno.

E' bello che i sogni si rivelino come realtà, ogni tanto.

domenica 3 luglio 2011

E' strano

L'opera è stata per me una scoperta tarda. Ci ho messo una vita a capirne il perché, a intuirne la bellezza e la complessità. Sono un novizio, che ha degli strumenti potenti per fare a pezzettini la musica, il suono, ma che è ai primi istanti della sua ricerca in questo territorio.

Ieri sera l'Arena. Ogni volta che ci vado mi chiedo perché. La sonorità è terribile, a volte si sentono due, tre decimi di ritardo fra l'orchestra ed il cantante che è girato dall'altra parte. L'unico posto peggiore dal punto di vista sonoro che conosco è il duomo di Milano, dove gli echi si inseguono a secondi di distanza.

Eppure ogni volta ci ritorno. E credo che la ragione sia proprio la natura dell'Opera. Teatro con musica, musica con teatro, a secondo di dove cada l'accento. Ma il teatro, per quanto il testo possa essere stato bistrattato, è lì, presente, forte.

Traviata. Un'opera amata, la più eseguita al mondo. E ce n'è ragione. Condensa in due ore le sensazioni, i sentimenti, gli umori umani che riguardano passione, dovere, famiglia, desiderio. Lì dentro ho visto pezzi di storie che conosco, brani di vita, scelte, pentimenti, successi. Quanto ci si può ritrovare, in una recita in crinolina con una tisica che canta come se avesse fiato per due maratoneti..

Ritornare all'Arena, quindi, è un tributo. Un tributo al teatro, a quel teatro che sa sposarsi con la musica.