giovedì 17 ottobre 2013

Trent'anni

E così anche le foglie dei platani di strada cominciano ad ingiallire e cadere. Come sempre.
Tante volte, da allora. Massimo ci invitò ad uscire una sera, Stefano ed io. Tre compagni di liceo, usciti da poco. Massimo con una delle sue auto cesse, una Horizon che però aveva i primi vetri elettrici che ricordo: io ci misi otto anni ad avere la prima macchina dotata di questo fondamentale accessorio....
Quella sera ci trovammo a Milano. Massimo ci disse che "doveva" sposarsi. La prima domanda, contornata di vaffa di ritorno, fu: "con chi?". La ragione di quel matrimonio riparatore la tenni in braccio in autunno, e quest anno ha compiuto 30 anni (il mio stesso giorno, ma questa è un'altra storia).

Da quella sera non vidi più Stefano. Lui, nato a Milano, andò a vivere a Cremona, la mia città natale. Uno scambio. Trent'anni fa niente cellulari, niente facebook, niente internet. Pare che anche le diligenze fossero rare. Fatto sta che di Stefano persi le tracce. Massimo lo incrociai svariate volte, praticamente sempre per lavoro, ma passavano anni fra un incontro e l'altro.

Poi inventarono i cellulari, internet, i social network. E un giorno Stefano mi trovò su facebook. Cretini come a diciott'anni, a sparar minchiate come se ci fossimo salutati il giorno prima.

E sono cominciate a cadere le foglie, e la mia auto con a bordo Massimo si è fiondata nella bassa. Aria di casa anche per me, in fondo. Un appuntamento moderatamente assurdo nell'era del gps: troviamoci al primo semaforo di Cortemaggiore, per quelli che erano bimbi negli anni sessanta era la benzina, la SuperCortemaggiore, quella che poi diventò l'Agip. La camminata era la sua, dinoccolata, con quell'aria sempre da cazzeggiatore che è lì per caso. Solo i chili un po' di più, come d'altronde i miei. Massimo che ci sfotte, ragion per cui gli chiediamo dove lui avesse messo il parrucchino, perché così non lo si poteva proprio vedere...

La piazza di Roncole. La casa natale di Verdi sul lato corto, l'osteria di Guareschi su quello lungo, decorata da due osceni pupazzi colorati con le sembianze di Peppone e Don Camillo. Il nostro ristorante giusto accanto a casa Verdi. Gnocco fritto (qui si dice torta fritta, è già provincia di Parma), salumi di qualità (quanto tempo che non ne mangiavo...), la spalla cotta (delusione!). Otello, l'unico lambrusco premiato con tre bicchieri (veramente straordinario nel suo genere). Anoli in brodo da commuovermi. Chiacchiere e cazzate a nastro.

I platani che si spogliano. La gente attorno casa Verdi, il bicentenario della nascita. Laggiù, verso il fiume, la grande tenuta del Maestro, a Sant'Agata. Un uomo che si trovava a proprio agio a Parigi, ma stava bene solo fra le pioppe degli argini. La macchina che corre indietro, come a ricordare che trent'anni non passano invano.

sabato 31 agosto 2013

Dammi vento e ti darò miglia

Non mi capacito che sabato scorso me ne stavo sdraiato al sole, godendo il caldo ed il mare stupendo della Croazia, e stasera sto pensando già di recuperare una copertina da buttare sul letto.
In fondo siamo ancora ad Agosto, quella fine di Agosto durante la quale il caldo afoso dei primi giorni del mese si stempera in un umido languido. Quei giorni nelle cui mattine è bello svegliarsi e far l'amore.
Eppure sembra quasi ottobre, almeno fintanto che il temporale percuote il cielo e frusta d'acqua il suolo.

Guardo con attenzione le rose che si sono rimesse a fiorire, e mi chiedo se sia il caso di concimare di nuovo ora, per consentire una bellissima fioritura autunnale.
Ho cominciato ad acquistare l'uva: per ora l'americana e la bianca, aspettando il mio desiderato moscato d'amburgo.

Eppure quest'anno tutte queste attività mi sembrano surreali: passare dai ricordi del mare, dal caldo e dalla nudità della vacanza alla giacca, pantalone, scarpa di un autunno francamente in anticipo. Penso alla prossima settimana già nuovamente via per lavoro, la gatta di nuovo dai miei (credo che mi odierà per i continui trasferimenti), il motore già al massimo, mentre mi scorrono ancora le voci, i colori, i sapori, le emozioni di una vacanza che mi ha regalato tantissimo. Quest'anno mi sembra di essere stato derubato di un pezzo di vita, di quel periodo dell'anno nel quale si vive pienamente, e non al traino delle necessità lavorative. Altre volte mi ero sentito così, e a posteriori posso dire che quando ciò accadeva era perché sentivo di aver bisogno di cambiare, tipicamente cambiare lavoro. Ecco, ora probabilmente mi sento nello stesso stato d'animo: bisogno di cambiare azienda, ritmi di vita, vita. La vacanza mi ha regalato giornate magnifiche, mi ha regalato emozioni piene, ora vorrei renderle parte della vita.

La rotta è lunga, c'è acqua davanti alla prua.



giovedì 15 agosto 2013

Fatti non foste a viver come bruti




Per me il mare e la vela sono un simbolo, oltre che un piacere. Il simbolo della libertà, dell'avventura, del viaggio. Sapere grosso modo cosa si farà e dove, ma non precisamente. Calarsi in una dimensione nella quale il tempo, le distanze, le velocità sono diverse da quelle del quotidiano. Muoversi a velocità di corsa a piedi e comunque percorrere distanze da cartina geografica non è comune nella nostra vita, ma è un'esperienza. Si ha tempo per pensare, per discutere con sé stessi e con i compagni di viaggio. Si ha tempo per stare in silenzio, per odorare l'aria, per ragionare. Si sentono forti i bisogni primari: la sete (quanta sete in barca!), la fame. Spariscono come per magia i dolori che spesso mi affliggono durante il quotidiano, salvo ripresentarsi quando la tensione per il nuovo ed il diverso cala, alla sera nella cuccetta, ad esempio.

La mia piccola e veloce crocera attorno all'Elba è stata un assaggio di tutto ciò. Il tempo, forse, ci è stato tiranno, in quanto avevamo solo due giorni e mezzo di tempo, incastrati fra le esigenze della vita del mio collega nonché armatore e le mie. Ma anche così, e anche grazie al fatto che siamo due che vanno d'accordo, quasi la forzatura della fretta non l'abbiamo sentita. E anche la frustrazione di non poter scendere a terra la sera, e gozzovigliare in qualche ristorante del porto, non ci ha impedito di godere anche di paste improvvisate, cucinate con un occhio alla pentola, che non si rovesciasse mentre la barca rollava in modo sconsiderato alla fonda.


A volte essere costretti a stare alla fonda ha i suoi pregi: ti puoi godere tramonti come questo










oppure le feste del paese. da una posizione unica



E' stata un'esperienza meravigliosa. Un'esperienza di socializzazione, di cameratismo. E il ritorno, buon vento di bolina larga, la barca che filava sei nodi al limite delle sue possibilità fisiche regalando sensazioni indescrivibili di felicità, ha consegnato la piccola crociera ad una promessa: l'anno prossimo si va in Corsica. E mi piacerebbe tanto poter trasmettere a chi mi è vicino questo desiderio di lasciare terra e vivere l'avventura, per quanto questa sia molto tranquilla.
Per intanto mi tengo negli occhi il bellissimo mare davanti a Piombino, puntare sul promontorio di Baratti, a destra le ciminiere della città, le gru di porto che si spera possano continuare a pagare il salario a chi, di mare, ci campa.


venerdì 9 agosto 2013

Ozi agostani

A volte mi chiedo se invecchiando sto tornando giovane. Mi capita sempre più spesso di godere di cose semplici, di vivere sensazioni che avrei voluto poter provare a vent'anni e che invece mi trovo ad assaporare ora. Aspetti della vita che attraversano tutto: cibo, viaggio, sentimenti, sesso, tempo, amore. Quasi come se la maturità raggiunta mi avesse dato in dono la capacità di abbandonarmi, di sapermi mettere in gioco anche a rischio di farmi del male, anche a rischio di aver qualcuno che se la prende con me perché non sono ciò che vorrebbe. Ecco, a rischio di essere completamente me stesso.

Le vacanze di quest'anno rispecchiano un po' questa tendenza. Per anni ho vissuto nell'imbruttimento della vacanza del "fare": bisogna andare, non sprecare neppure una mezza giornata, vivere a ritmo ancora più elevato di quanto già viva le tante altre settimane dell'anno. Intendiamoci, non che non sia bello prendere ed andare all'altro capo del mondo (fatto!), ma talvolta la vacanza è qui, in piccole cose.
Ho vissuto a lungo (e continuo a sentirlo) la vacanza come un lungo unicum, almeno tre settimane, meglio quattro, di distacco da tutto e tutti. Da anni i telefonini mi tengono attaccato al lavoro anche in vacanza, e non son capace di distogliermi completamente da loro, ma anni fa mi ci voleva più di una settimana per riuscire a cambiare ritmo, registro, vivere del sole e del tempo lento.

Quest'anno le cose vanno diversamente. La settimana all'inizio di luglio non mi ha completamente staccato dal lavoro, è corsa via come acqua sull'ardesia. Incredibilmente questi primi giorni di ferie, di cui 4 trascorsi al mare ed il resto a casa, mi stanno rigenerando come non mai. Mare felice, e ozio totale ora. La casa che ha preso il sopravvento, cose ovunque nel più pieno disordine. La gatta che approva incondizionatamente. Leggere fino a mezzogiorno a letto, ed alzarsi solo per preparare una pasta, e rispondere ad una mail di lavoro, ma senza affanno. Cazzeggiare. Attendere la telefonata del collega per mettersi d'accordo per il giro dell'Elba a vela. Si, domenica ci sarà vento e anche un po' di mare, vorrà dire che ci divertiremo a far bordi. "Cosa porto io di cambusa?" "Porta tanta acqua!" "Ma che si mangia? Riusciamo ad andare a terra o stiamo in rada? Se è così portiamo pasta e sughi pronti, che ci facciamo qualcosa al volo". Insomma, vacanza vera.

Qualche giorno in barca, una cosa da maschi che sanno stare in compagnia senza bisogno di fare la gara di chi ce l'ha più lungo. Ci si lava sul ponte, si vive con ritmi e modalità non proprio ortodosse (orecchie tese di notte in rada a sentire se l'ancora ara sul fondo, sonno profondo durante il giorno, bagni nell'acqua pulita, mangiare quando si ha fame ciò che capita per le mani). Tornare con i capelli impastati di sale, il sole nella pelle.

E poi cambiare ancora la vacanza. Ancora mare, ma quello popolato da una storia varia, che va dalle rovine romane all'impronta veneziana, al contrasto fra il verde della natura e il blu schietto del mare pulito di roccia calcarea. Una settimana di vita desiderata, popolata di decisioni prese sui due piedi, senza ansie, senza pressioni. Godere di vita, di sapori, di profumi, di calore, di emozioni, della miglior compagnia che possa mai desiderare. Lasciarsi andare, vivere, gustare ogni istante, ogni piacere.


mercoledì 7 agosto 2013

Calda notte d'estate

Quando sento il suo corpo di creta bianca
e mobile tendersi a palpitare presso il mio,
è come una marea, quando lei è al mio fianco.

Disteso davanti ai mari del Sud ho visto
arrotolarsi le acque ed espandersi
incontenibilmente
fatalmente

nelle mattine e nei tramonti.

Acqua delle risacche sulle vecchie orme,
sulle vecchie tracce, sulle vecchie cose,
acqua delle risacche che dalle stelle
s'apre come una rosa immensa,
acqua che va avanzando sulle spiagge come
una mano ardita sotto una veste,
acqua che s'inoltra in mezzo alle scogliere,
acqua che s'infrange sulle rocce,
e come gli assassini silenziosa,
acqua implacabile come i vendicatori
acqua delle notti sinistre
sotto i moli come una vena spezzata,
o come il cuore del mare
in una irradiazione tremante e mostruosa.

È qualcosa che dentro mi trasporta e mi cresce
immensamente vicino, quando lei è al mio fianco,
è come una marea che s'infrange nei suoi occhi
e che bacia la sua bocca, i suoi seni, le mani.

Tenerezza di dolore e dolore d'impossibile,
ala dei terribili
che si muove nella notte della mia carne
e della sua come un'acuminata forza di frecce nel cielo.

Qualcosa d'immensa fuga,
che non se ne va, che graffia dentro,
qualcosa che nelle parole scava pozzi tremendi,
qualcosa che,
contro tutto s'infrange,
contro tutto,
come i prigionieri contro le celle!

Lei, scolpita nel cuore della notte,
dall'inquietudine dei miei occhi allucinati:
lei, incisa nei legni del bosco
dai coltelli delle mie mani,
lei, il suo piacere unito al mio,
lei, gli occhi suoi neri,
lei, il suo cuore, farfalla insanguinata
che con le due antenne d'istinto m'ha toccato!

Non sta in questo stretto altopiano della mia vita!
È come un vento scatenato!

Se le mie parole trapassano appena come aghi
dovrebbero straziare come spade o come aratri!

È come una marea che mi trascina e mi piega,
è come una marea, quando lei è al mio fianco!

Pablo Neruda



sabato 20 luglio 2013

Un bambino ricorda

Sono nato in una landa musicalmente fortunata. Non solo musicalmente, a dire il vero: la terra della mia campagna non l'ho vista mai più da nessuna parte. Guareschi, che se ne intendeva essendo pure lui di quell'area, diceva che bastava sputarci che questa produceva ogni ben di dio.
Questa fertilità agricola corrisponde alla fertilità musicale. Dalla mia città venne Monteverdi, il padre dell'Opera. Poco dopo le grandi dinastie dei liutai, i Guarneri, gli Stradivari. Poi Ponchielli e, praticamente coevo, Verdi.
Si, lo so. Verdi è di Busseto, provincia di Parma. Ma Busseto dista da Cremona 23km, da Parma 46. E' vero, in mezzo c'è il grande fiume, che separava popolazioni distanti poche chilometri segnandole di differenze sostanziali. Alcune cose però assimilano le due sponde: il piacere del cibo, il caldo umido, l'odore della terra sotto il sole. Queste cose modellano l'animo, e l'animo modella la musica.

Sono abbastanza vecchio da ricordare le osterie, quelle vere, quelle con i tavoloni di legno dalla dubbia pulizia, dai bicchieri di lambrusco che li segnano, dal povero cibo saporito che veniva servito. Dalla disperazione di essere l'unico svago concesso a molti dei loro frequentatori, svago fatto di briscole, di ciucche di vino, di bestemmie orrende, e di canti. Si, perché dopo un po' di giri di lambrusco le gole si scaldavano, e questi uomini consumati dalle fatiche dei campi, molti dei quali non avevano finito le elementari e lavoravano da prima di essersi cominciati a radere il viso, cominciavano a cantare l'opera, con una perizia ed una perfezione che noi ci sogniamo oggi.

Verdi era di quella razza lì. Era figlio di un oste di Roncole, anche lui avrà visto spettacoli simili a quelli che ricordo io, solo che si cantavano le opere settecentesche. L'opera non era più un divertimento della nobiltà: da qualche decennio era divenuta uno spettacolo popolare, soprattutto attraverso l'opera buffa, così distante dal gioco di richiami culturali dei libretti seri, basati spesso sulla mitologia o sulla storia. Verdi impara la musica rozza, quella di taverna, quella delle bande. Impara anche la musica da chiesa, sull'organo del villaggio. Gli entra nell'anima l'emozione popolare, quella dei contadini che cantano a cappella dopo essersi ben lubrificati con il vino.
Il Verdi giovane musicista che impara la musica accademica prova a scrivere opere del filone neoclassico, ma non fan parte della sua cultura. L'intuizione gli fa comprendere che il suo uditorio è rozzo e raffinato allo stesso tempo, ama il bel canto ma pure le storie che capisce, che sente. Verdi intuisce che il successo gli verrà dal fatto che questi melomani che non sanno leggere, uscendo da teatro canticchieranno le sue arie. Devono restare in mente. Devono colpire come pugni nello stomaco. Musica e testo.

Verdi era un contadino della mia terra. Attaccato ad essa, in modo viscerale. Quella terra sarà presente sempre nella sua opera, e nei suoi obiettivi. Verdi, scrivendo opere che piacevano, diventerà uno degli uomini più ricchi del suo tempo, investendo la sua ricchezza in terreni, da Busseto al grande fiume. Questa territorialità, questa sanguignità Verdi la esprime in massimo grado con la sua trilogia popolare: opere dalle storie a tinte forti, supportate da musica che si canta al primo ascolto. Apparentemente facile, talvolta come se si trattasse di brani da osteria.
Rigoletto ne è l'emblema. Storia torbida, con personaggi apparentemente semplici. Il Duca è la versione campagnola del Don Giovanni di Mozart, ma mentre quello era un raffinato viveur questi è un rozzo idiota vanesio, al di sotto della soglia minima tollerabile. Si presenta con la celebre aria "Questa o quella", creata su quel volgarissimo ritmo sincopato (che però è scritto in un raffinatissimo 6/8) che assomiglia ad un galoppo, ed un testo che più squallido non si può

Questa o quella per me pari sono
a quant'altre d'intorno, d'intorno mi vedo;
del mio core l'impero non cedo
meglio ad una che ad altra beltà.
La costoro avvenenza è qual dono
di che il fato ne infiora la vita;
s'oggi questa mi torna gradita,
forse un'altra, forse un'altra doman lo sarà,
un'altra, forse un'altra doman lo sarà.
La costanza, tiranna del core,
detestiamo qual morbo, qual morbo crudele;
sol chi vuole si serbe fidele;
non v'ha amor, se non v'è libertà.
De'mariti il geloso furore,
degli amanti le smanie derido;
anco d'Argo i cent'occhi disfido
se mi punge, se mi punge una qualche beltà,
se mi punge una qualche beltà.





Un'aria composta apposta per rimanere in mente al primo ascolto, furba. Eppure Verdi non dimentica di mostrare che lui sa scrivere musica: il ritmo viene preparato, introdotto sottotraccia nel recitarcantando che introduce all'aria. Lo si sente formarsi, quasi un corpo estraneo, un insistere di mi bemolle del flauto e dell'oboe prima in ritmo binario per poi passare al ternario della ballata. Poi, nello svolgimento dell'osceno canto, improvvisamente il colpo di genio sul "s'oggi questa mi torna gradita": una scivolata tonale proprio dove ci si aspetta uno sviluppo normale, allineato con la banalità dell'aria. E invece quelle tre note estranee, fuori tonalità, sono la firma del grande musicista, che ti dice che lui si, ha scritto un'aria per far successo, ma che se sei attento capisci che di aver a che fare con un genio.

Un grande musicista, si, e anche un uomo che capisce di teatro ed emozioni. Piega il libretto in modo da caratterizzare i personaggi in modo viscerale. Il bel Duca è uno squallido uomo, lo squallido e fisicamente ripugnante Rigoletto mostra un coraggio e una determinazione che i nobili cortigiani non hanno, nemmeno colui che lo maledice. Ma contro il destino, contro il fato nessuno può combattere: il Duca, uomo vacuo, è protetto dal suo fascino che lo salva, attraverso una donna che implora la sua salvezza (la sorella di Sparafucile) ed un'altra che dona la sua vita per lui (Gilda). E mentre lui si allontana con il suo canto da osteria ("La donna è mobile"), Rigoletto non può che scoprire l'ineluttabilità della maledizione.
Ma il capolavoro del Rigoletto è il quartetto "Bella figlia dell'amore". Ancora una volta un brano furbo, scritto per restare in mente ed essere canticchiato uscendo da teatro. Un brano difficile per i cantanti, un pezzo che sotto l'apparente semplicità nasconde una scrittura musicale molto densa. Anche teatralmente è una meraviglia (anche se non è un unicum): quattro cantanti che cantano quattro testi differenti, quattro melodie diverse, quattro stati d'animo completamente divergenti. La coppia Duca - Maddalena eseguono una schermaglia d'amore, con lui che cerca di convincere lei che civetta, mentre la coppia Gilda - Rigoletto duetta in modo molto più articolato: Gilda sostanzialmente parla al Duca, amante fedifrago, lamentandosi del dolore che lui le sta causando e non prestando attenzione a Rigoletto che cerca di convincerla che il Duca non merita affatto il suo amore, e fra sé e sé medita la vendetta. Il contrappunto fra le varie parti è articolato e complesso secondo la più fine stesura tecnica operistica, e questa raffinatezza fa a pugni con la volgarità del corteggiamento del duca. Ma ciò che più colpisce è il messaggio di incomunicabilità che fuoriesce dall'intreccio delle voci, con Gilda che urla non ascoltata verso il Duca, e Rigoletto che quasi non si sente. Questa versione che ho trovato è musicalmente straordinaria, con una Sutherland gigantesca, capace di sovrastare persino la voce di Pavarotti, e tutto ciò a 61 anni (poco credibile come Gilda, però....)



Mi rivedo nell'osteria, bambino, ascoltare un contadino non più sobrio comincia a cantare la parte del Duca, fino ad inerpicarsi in quel si bemolle che richiede un bel timbro ed un controllo da vero cantante. Non posso non pensare ad Amici Miei di Comencini, e alle zingarate che avevano questo brano come colonna sonora. Non posso non stupirmi di fronte al complesso contrappunto della partitura, e a quel mirabile equilibrio fra apparente semplicità e densità musicale. La perfezione della spuma del lambrusco, l'equilibrio fra il dolce ed il salato di una fetta di prosciutto, il sapore del gnocco fritto.

Contadini senza cultura capivano tutto dell'opera: ascoltavano con il cuore e con quello cantavano.

lunedì 15 luglio 2013

Venezia

Una città unica al mondo, irripetibile, anacronistica. Una caccia agli elementi estranei architetturali, camminare il naso in su trovando spunti gotici nel rinascimento veneziano, così unico.
Un caldo umido che mi infradicia la camicia, sempre troppo pesante.

Una Traviata ascoltata in una sala dall'acustica interessante, una soprano che non ha osato il mi bemolle finale (secondo me ce l'ha, ma l'aria condizionata era troppo forte nella sala) ma ha interpretato bene il ruolo, un tenore con un buon registro acuto, un decoroso Germont.

Una cena in una trattoria alla quale non avresti dato due lire, eppure delle sarde in saor che parlavano da sole, e il fritto di lei che è risultato delizioso anche a me.

Ma soprattutto la magia di vedere, sentire, annusare con lei.